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Spazi per l'espressione e disagio sociale

Il nostro gruppo, il Gridas (gruppo risveglio dal sonno) è nato e opera alla periferia nord di Napoli, Scampìa, la “167” di Secondigliano.
Non è il caso di insistere sulla descrizione del disagio sociale delle periferie, a tutti ben noto: servizi carenti, quartieri dormitorio, in breve deserto e disumanità, e la conseguente criminalità diffusa e una quantità di invenzioni di espedienti per sopravvivere.
Noi abbiamo provato ad intervenire sulle pareti del nostro carcere quotidiano, per verificare se eliminare lo squallore, anche solo dipingendo le pareti grigie e degradate che costituiscono gran parte dell’orizzonte potesse in qualche modo modificare anche la vita degli abitanti. Invece di abituarsi allo squallore, sperimentare se l’illustrazione sui muri della voglia di protesta e della volontà di riscatto possa aiutare a tradurle in pratica.
Di qui i murales. Non per decorare i muri, ma per far diventare i muri parlanti, per restituire significato sociale al fare pittura, per intervenire sul territorio per quanto è possibile, affermando nei fatti che la città è di tutti e non di nessuno.
Vi presentiamo qui pertanto solo una serie di immagini che testimoniano come sia possibile dipingere sulle superfici e nelle occasioni più diverse, come ci si possa procurare “spazi per l’espressione” anche dove sembra che non ce ne siano. I luoghi del disagio.

Una delle situazioni di disagio è senza dubbio la scuola: un posto in genere grigio e afflittivo, da cui è una liberazione uscire.
A Quartio, vicino Pozzuoli, un paio di classi di terza elementare hanno progettato immagini fantastiche per dire l’amore per la natura e il rispetto per l’ambiente. Le pareti grigiastre della scuola si sono così popolate di immagini vive e colorate: insetti giganti cavalcati da bambini, fiori giganti, alberi a sottolineare gli spigoli del muro, capriole sui prati, un cavallo giallo, il sole e la luna e una nuvola color arcobaleno che li collega, su cui siedono un bambino e una bambina che leggono un libro da cui cadono lettere: dare un nome alle cose, identificare la fantasia.
Altro luogo di disagio: il manicomio.

Ad Aversa, al manicomio “S. Maria Maddalena” abbiamo realizzato un mural intitolato “L’evasione dalla follia”.
Sulla parete di uno dei padiglioni c’è un grande verme-mostro che rappresenta la pazzia, alto due piani. Ha sul volto un imbuto (allusione all’antica “cura della follia”) e una luna, allusione ai “lunatici”; gli occhi sono due finestre del primo piano, uno dei reparti, che di sera si illuminano, ma da uno squarcio sul dorso escono i matti con le ali, a riconquistare la libertà. Alcune figure dei matti sono il ritratto di degenti, e sul corpo del mostro, tra l’altro, sono riprodotti alcuni prodotti dei degenti: le lettere di Michele e i disegni di Ernesto. A livello del terreno c’è la nave dei foli, con le vele gonfie in entrambe le direzioni, ma i naviganti sono i potenti: politici corrotti, giudici, poliziotti, re e vescovi..quelli che inducono gli altri alla pazzia!
La nave ha anche i piedi, per poter circolare per terra e per mare: in realtà sta ferma.
Il carcere non è certo un luogo piacevole e dipingerne le pareti non lo fa diventare più accettabile.
Ci è capitato di fare dei murales nel carcere di Secondigliano, insieme con alcuni detenuti, molto contenti di fare qualcosa e di poter stare per qualche giorno fuori dalle gabbie.
I disegni sono stati proposti dai vari detenuti che chiedevano di realizzarli sulle pareti visibili dalle loro celle. In più qualche notazione ironica sui controlli e i controllori, soprattutto a proposito degli spioncini, che sono diventati un occhio di una guardia, la celata di un guerriero in armatura, ecc.
A S. Giorgio a Cremano si è reinterpretata con i ragazzi la figura del santo che dà il nome al paese: S. Giorgio (un santo di dubbia esistenza) è diventato un mucchio di bambini, su un enorme cavallo, che brandiscono una lancia all’assalto del drago. Il drago è un grande mostro che racchiude nella sua figura tutti i mali da combattere: le armi, la violenza, la droga, e soprattutto il denaro.
Un esempio della possibile esorcizzazione dell’afflittività dei bastioni di cemento armato è il teatro di burattini dipinto questa estate a Bari, nel quartiere di Poggiofranco, dove le proporzioni sono state invertite: c’è un enorme Pulcinella che emerge a mezzo busto dal terreno incolto, reggendo sulle mani due rami di un arcobaleno, e gli spettatori, più piccoli, sono i popoli del Mediterraneo, quelli più oppressi e perseguitati, che trovano nel teatro e nella maschera popolare un motivo di affratellamento: curdi, donne islamiche, palestinesi, saharawi, bambini…
Gli spazi conquistati.
Una possibilità quasi magica della pittura è quella di rappresentare ciò che non esiste, dare concretezza ai sogni.
La recinzione della sede della Comunità artigiana di Marano era sormontata da una serie di profilati di metallo che creavano una barriera oppressiva. Li si sono fatti dipingere di celeste chiaro, il colore del cielo e si sono dipinti sui tre lati visibili dei profilati gli alberi che crescono dall’altro lato e la cancellata è scomparsa.
Un altro caso è stata la dipintura di serrande di negozi del nostro quartiere, rappresentando all’esterno quello che si vendeva all’interno, così la strada sembrava più viva anche quando i negozi erano chiusi: un passante commentò: sembra il presepe! I verbi sono al passato perché i proprietari hanno sostituito o fatto tinteggiare di un colore unico le serrande.
Dove proprio non si poteva intervenire si è dipinto su striscioni di tela realizzando una sorta di murales ambulanti, da appendere durante una manifestazione e da trasferire poi altrove. A Caivano, durante una festa per i ragazzi si sono dipinti su una tela i monumenti del paese, alberi e torrioni montati su ruote: la città come giocattolo.
Altra possibilità che abbiamo sperimentato è stata la realizzazione di mosaici incollando sulle pareti frammenti di mattonelle smaltate, di specchi e altri materiali colorati e luccicanti. Si aggiunge così al disegno una maggiore durevolezza e una vibratilità del colore, che cambia al mutare dell’incidenza della luce. Ma anche gli spazi fra le case sono spazi da riconquistare.
A S. Arpino (CE) nei giardinetti fra le case popolari abbiamo realizzato delle sculture in legno assemblando blocchi di legno grossolanamente modellati con barre filettate, rondelle e dadi. Un dinosauro con tre code, cavalcabile da una ventina di ragazzi, una giraffa, gli antenati, una locomotiva col vagone, un’altalena, oltre a panche e tavoli, e gli abitanti del quartiere hanno preso a scendere dalle case e a fruire degli spazi prima abbandonati: strutture per l’immaginario.
Per riconquistare all’uso civile gli spazi, le strade del quartiere da quindici anni realizziamo un carnevale di quartiere con un corteo mascherato che esprime la critica sociale dal basso degli eventi più rimarchevoli del momento. Per realizzare maschere e strutture si fanno laboratori nelle scuole, che permettono di ragionare sui fatti di attualità e inventarsi come rappresentarli e criticarli, ma dove può esplodere la fantasia nelle maniere più impensate. Maschere di cartapesta, di poliuretano espanso, di cartone da imballaggio, bandiere di stoffe colorate percorrono allegramente gli spazi degradati e ballano negli spazi abbandonati.
La festa si conclude con un grande falò in cui si bruciano i simboli negativi, come vorremmo fare con tutti i mali del nostro mondo, producendo così la cenere per concimare la nascita di un mondo nuovo, che poi è il senso del carnevale come “rito di passaggio”.
Così la creatività può offrire un supporto alla voglia di cambiamento, aiutando il disagio a divenire progetto organizzato. Uno stimolo caldo e palpitante ad andare avanti con più coraggio e con più forza.

Felice Pignataro - Genova, 31 gennaio 1998