Conoscere con i piedi: perché il corteo
Il primo nostro carnevale di quartiere si è realizzato nel 1983, dopo due anni di attività del Gridas, in collaborazione con un paio di classi della scuola media "Virgilio III" (a quei tempi tutte le scuole medie del quartiere si chiamavano "Virgilio", contraddistinte da un numero d'ordine).
L'idea ci venne per reazione alla "privatizzazione" della festa di carnevale: un'associazione privata utilizzava ogni anno la palestra della scuola elementare, il 58° circolo, per farci una festa di carnevale con concorso a premi per il "vestito più bello", rivelando una mentalità consumistica e un disprezzo offensivo per la povertà di chi non poteva spendere per il "vestito di carnevale". D'altra parte, in parecchie famiglie era diffuso l'uso di acquistare vestiti di carnevale per i bambini e le fotografie dei piccoli più spesso esibite nelle case erano quelle fatte appunto in occasione del carnevale.
Per le strade in quei giorni si vedevano genitori che accompagnavano i piccoli vestiti da Zorro, Batman, o da damine dell'ottocento, in marcia di trasferimento alle case dei parenti o a miniveglioni e festicciole. Così ci venne l'idea di restituire al carnevale il suo senso di festa popolare di strada, di recuperarne le molteplici implicazioni e di usare le maschere per dire qualcosa, al di fuori delle mode imposte dalle programmazioni televisive (cartoni animati giapponesi, robot vari, ecc.), per lanciare uno sguardo sulla realtà quotidiana, mutevole anno per anno e recuperare il diritto di critica. La scuola elementare non fu disponibile, invece aderirono alcuni insegnanti della scuola media, poi, via via la partecipazione si è allargata.
Ma, affinché il discorso non scomparisse all'interno della scuola, noto solo agli addetti ai lavori, si pensò subito ad un corteo per le strade. Si aggiunsero così altre motivazioni.
Non si percepiscono bene la qualità e i dettagli e i particolari di un quartiere se non lo si percorre a piedi, che poi è la maniera più naturale e semplice di spostarsi.
I motivi che ci hanno spinti a fare cortei di carnevale sono parecchi.
La necessità di reintegrare la scuola nel territorio, nel tessuto sociale del quartiere così che la conclusione naturale di un laboratorio creativo di realizzazione di maschere e strutture è l'esibizione agli altri, ma, invece che in una mostra che bisogna "andare a vedere", in una mostra ambulante, qual è appunto un corteo, nel quale tutti possano vedere che cosa si è prodotto nella scuola e si possa verificare se si è riusciti ad esprimersi compiutamente, a comunicare con efficacia.
Altro motivo è la riconquista al vivere civile, alla camminata, alla festa, delle strade e degli spazi del quartiere.
Vicoli stretti come budelli nella Secondigliano antica, super strade ampie come piste di atterraggio nella "167", spazi deserti e abbandonati dove vivacchiano cespugli di erbacce, spelacchiati o rigogliosi secondo la stagione, fra cumuli di rifiuti, elettrodomestici scassati, carcasse di automobili rubate e private del contenuto, incendiate, improbabili e irriconoscibili animali di peluche, rottami di bambole e altri incredibili oggetti.
Troppo spesso questi spazi, lungi dal divenire i "giardinetti" progettati, sono luoghi angosciosi e, di notte, paurosi, testimoni del degrado della periferia, e le strade divengono spesso poligoni di tiro della malavita organizzata.
Quante cose potrebbero raccontare le strade, se avessero la parola!
Ma noi, che abbiamo la memoria, le conosciamo bene: quello è l'angolo dove è stato sparato Tizio, là c'è una scritta sbiadita, pallido ricordo delle glorie del Napoli, un ritratto grossolano del Diego internazionale, una testimonianza di amore chi sa perché fissata sul muro, una malaparola, un disegno osceno, una macchia indecifrabile ma evocativa di un evento per chi era presente quando si è prodotto, un foro, uno scarrupamento: sono i muri portatori di storia, quella aulica dei grandi monumenti, o quella spicciola della quotidianità passata.
E, fra gli altri ricordi, a dare voce alle pietre silenziose, il corteo, che restituisca ai cittadini l'affetto per le pietre, rivisitandole camminando e camminando cantando e ballando e inseguendosi e ammiccando, come si fa per giocare: la città come giocattolo!
Giochiamo a riscoprire la città e i suoi ricordi.
Tutto questo pone problemi da risolvere.
Il suono: il primo anno eravamo silenziosi e quindi inosservati. Gli strumenti musicali disponibili, chitarre, strumenti a percussione molto arrangiati, si rivelarono poco efficaci per strada, perché negli spazi aperti il suono si disperdeva. Poi ci siamo attrezzati con rullanti e grancassa e piatti. Inutilmente ci siamo dotati di una tromba, perché la nostra ignoranza musicale ci impedisce di usarla.
La visibilità: negli spazi sconfinati solo grandi dimensioni delle figure possono essere ben visibili, senza scomparire tra la folla.
Allora bisogna alzare le maschere o realizzare fìgure-strutture che sorvolino le teste, e poi, il colore: è ancora in corso una lotta con i nuovi arrivati per convincerli ad usare le tinte base delle pitture lavabili, colori vivi, invece delle pallide tempere, di solito in uso nelle scuole, affinché il sole possa incendiare i colori. Le immagini che seguono ne daranno atto.
La coreografia: andare per le strade significa, una volta realizzate maschere e strutture visibili, richiamare l'attenzione su di sé, allora è importante sapersi muovere, o meglio, muoversi per comunicare anche con il corpo. Il teatro di strada ha a che vedere molto più con la mimica che con la parola, a meno che si abbia un efficace impianto di amplificazione trasportabile. Perciò muoversi in maniera da valorizzare le figure realizzate invece di nasconderle con i corpi, e saper contenere l'irruenza che confonde un corteo con una corsa dei cento metri piani, ma anche convincersi che non si tratta né di una processione né di un funerale.
Dopo inutili insistenze con inviti a rallentare l'andatura, e la latitanza di insegnanti che se ne occupassero, si è trovato un espediente nel procedere a spirale, anziché in linea retta, facendo roteare maschere e strutture, mentre si avanza e così rallentando automaticamente la marcia.
Se ognuno avesse una competenza specifica ben orientata e coordinata, si tratterebbe della conclusione di un bel lavoro interdisciplinare: la musica, la coscienza dei movimenti del corpo, la mimica, uniti alla consapevolezza del valore di ciò che si è prodotto e dell'importanza di farlo ben vedere a tutti per comunicare efficacemente, pur divertendosi.
Si voleva costituire così, e di fatto si è fondata, anno dopo anno, una memoria storica, una tradizione, coinvolgente per tutti: "che farete a carnevale quest' anno?" “quann ' ven' carnevale?" "a facite a faccia d'Andreotti?" ecc.
Fatto tanto più importante per Scampìa che è un quartiere di gente sradicata dalle zone e dai quartieri di origine, che permetta di esorcizzare 1'impersonalità delle case anonime, aggressive, enormi, disumane. Palazzoni come muraglie, alte fino a tredici piani, dove non arrivano più i rumori, le voci, i suoni della strada, come avveniva nei vicoli dei quartieri di provenienza, vere casse di risonanza dei richiami dei venditori, stenditoi per i panni lavati in casa, essi stessi casa più grande, ché ci si poteva chiamare e parlare da una facciata all'altra, guardare nella finestra del vicino, intrattenersi a conversare e commentare la storia affacciati al balcone,
ascoltare i programmi della tv del vicino, una vicinanza che a volte è fastidiosa promiscuità, a volte occasione di calda partecipazione umana, o splendido e spontaneo teatro.
Il corteo è teatro di strada, sempre imprevedibile e avventuroso, per i fatti non previsti che si incrociano: più volte ci siamo incontrati con le processioni spontanee della Madonna dell'Arco, simulacri in cartapesta accompagnati da bande ben più rumorose della nostra, per l'abbondanza di strumenti a fiato squillanti (è per questo che abbiamo comprato la tromba!). E gli incidenti casuali: l'anno che avevamo dato più spazio a grosse strutture in poliuretano espanso (la spugna sintetica, dai begli effetti semoventi) fummo sorpresi dalla pioggia, un acquazzone: le maschere si inzupparono e divennero pesantissime e si sfasciarono per strada, lasciando scie di colore, ché la pittura, stesa la notte prima, non aveva avuto il tempo di asciugarsi per bene. Ruote di carrozzini montate per trasportare senza fatica le strutture più pesanti, che si staccavano lungo il percorso e, nonostante i poveri mezzi di pronto soccorso portati appresso, pinze e filo di ferro, costringevano ad abbandonare i pezzi lungo la strada o a portare a spalla ciò che non si voleva abbandonare.
È incredibile la quantità di buchi, rialzi e affossamenti che costellano le nostre strade e marciapiedi, come ben sanno le mamme con figli piccoli da spingere nei carrozzini. Così abbiamo imparato che le ruote da usare per le strutture devono avere un diametro di almeno dieci centimetri, per evitare che restino bloccate nei buchi del manto stradale.
Le nostre sono strade ben strane: non c'è un tombino a livello del filo della strada: alcuni più infossati, altri sporgenti, e i veicoli vanno come sulle montagne russe. Quando piove si aprono nuovi fossi nel manto stradale (forse usano un asfalto solubile?) e chi va in vespa, come me, deve ricordarsi la mappa dei fossi perché la pioggia crea una superficie di acqua uniforme e non si sa se si appieda o no sul fondo del fosso. Così si deve procedere inseguendo l'asfalto!
Per essere visibili per le strade si devono fabbricare delle strutture grandi, se no scompaiono lungo le piste da atterraggio.
Nell'83 vennero a Napoli gli "Els comediants", uno straordinario gruppo di teatranti catalani e da loro abbiamo spiato-imparato a costruire delle strutture solidali con il corpo dell'operatore, una maschera di cartapesta in cima, due mani montate su stecche di legno o di alluminio. Ne risulta una figura articolata e viva, alta il doppio di una statura normale, e quindi ben visibile (ne diamo i dettagli nel manuale operativo che segue) ed ecco allora che la signora che si affaccia dalla cucina del piano rialzato si trova davanti il faccione di una maschera e non può non essere coinvolta. E la donna anziana che si mise a ballare con la maschera della morte, davanti a un negozio di pompe funebri?
Questo è teatro di strada: non uno spettacolo artificiale già scritto e calato poi in una realtà estranea, ma un'occasione offerta alla perenne e geniale vocazione teatrale dei Napoletani. E i discorsi e le canzoni improvvisate su motivi noti, ma con i testi attinenti al tema del carnevale, sorte spontaneamente lungo il corteo, che fanno diventare il corteo di carnevale un evento memorabile, e i ragazzi delle scuole, riscattati per quindici giorni, nei laboratori, dalla stupidità della routine scolastica, che dopo anni ti incontrano per strada e si ricordano: la memoria che è storia viva, ma anche coscienza selettiva che sa discernere il significante dall'insipiente e quello solo salva dall'oblio.
E la ricerca degli spazi dove concludere il corteo, con un falò delle maschere negative, qualche tric-trac, qualche fumogeno e un ballo attorno al fuoco: il concime per far nascere il nuovo che stenta a farsi riconoscere, ma ogni anno è più vicino, più a portata di mano, poi scomparirà per un altro anno, ma ricomparirà in nuove forme l'anno dopo.
In poche parole, come ogni espressione di arte, un'altra manifestazione dell'amore, senza il quale non è possibile vivere, che è la pienezza della comunicazione umana totale, un travaso di esperienze e di coscienza che riscatta e recupera un'occasione ricorrente, il carnevale, per restituire, anche se solo per un paio d'ore, al cittadino frustrato la gioia di vivere con pienezza prefigurazioni di un diverso mondo dove la cattiveria ed il sopruso vengono sconfitte nella maniera più efficace: non con il mitra ma con una fragorosa risata.