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Il giornalaio

Vincenzo era un giovane che vendeva i giornali in un piccolo negozio in una strada mezzo abbandonata in un quartiere povero di Napoli.
Guadagnava molto poco perché quasi nessuno sapeva leggere e perciò non vendeva quasi nessun giornale. Solo nel mese di novembre faceva un poco di soldi perché da lui andavano a comprare i libri per le scuole. Gli altri mesi se ne stava seduto nel suo negozio a pensare quanto era disgraziato a non vendere neanche un giornale.
Lui aveva fatto solo la terza elementare e perciò non sapeva leggere più di tre righi per volta e perciò non riusciva mai a capire che cosa diceva il giornale. Così fra le sue mani passavano molte notizie ma lui non ne sapeva niente, anche se erano cose che gli potevano interessare. Così le cose che succedevano nel mondo non si sapevano nel quartiere di Vincenzo.
Siccome lo avevano conosciuto per comprare i libri, i ragazzi che andavano a scuola cominciarono a passare il tempo nel negozio del giornalaio, dove andavano a comprare le penne, le matite, i pastelli e i quaderni. Così i ragazzi cominciarono a riconoscere sul giornale le parole che avevano imparato a scuola e altre ne imparavano che a scuola non avevano mai sentito. Vincenzo spiegava ai ragazzi le parole nuove e imparava da loro a leggere meglio. Così nel negozio del giornale si formò come una scuola, dove si imparava la vita leggendo il giornale. Col tempo i ragazzi impararono che non esiste un solo giornale, ma tanti giornali, quanti sono gli interessi degli uomini: c'è il giornale degli uomini ricchi, che parla male dei[poveri, c'è il giornale dei fascisti, cioè di quelli che vogliono perseguitare i lavoratori, ci sono i giornali malvagi, per gli uomini malvagi, e ci sono i giornali sporchi.
A poco a poco i ragazzi impararono a scegliere fra gli altri giornali uno che fosse più dalla parte loro e leggevano sempre quello, ma ogni tanto guardavano anche gli altri giornali per vedere che cosa dicevano gli altri delle cose loro. Così passava il tempo e imparavano sempre nuove cose: chi comandava, a chi serviva una legge nuova, che cosa dovevano fare per difendere i loro diritti, chi erano gli sfruttati e chi gli sfruttatori.
Invece i loro genitori non volevano imparare che per vivere meglio dovevano imparare a pensare a ciò che capitava loro, per organizzarsi insieme contro i loro nemici e perciò restavano sempre allo stesso punto, degli sfruttati.
I ragazzi, invece, imparavano ogni giorno qualche cosa nuova e a poco a poco cominciarono a pensare alle cose che succedevano a loro in quel quartiere e così un poco alla volta acquistarono una coscienza. Col tempo impararono che, pensando alle cose di ogni giorno si scoprivano nuove cose e si riusciva a trovare le ragioni e le colpe delle ingiustizie che vedevano sotto i loro occhi. Così a poco a poco cominciarono a fare qualche cosa contro le cose che andavano male. Una volta era uno sciopero contro quelli che non facevano funzionare la scuola per tutti. Un'altra volta era una dimostrazione per le case contro quelli che comandavano nella città, ma invece di aiutare i poveri rubavano i soldi di tutti e volevano essere chiamati "signori".
Ogni tanto facevano insieme qualche festa e così imparavano a stare insieme sempre, quando erano contenti e quando erano arrabbiati, come buoni fratelli.
Questa scuola si manteneva solo sull'affetto di ognuno per gli altri e perciò funzionava bene e i ragazzi imparavano molte cose e ci andavano con piacere, a differenza della scuola statale, dove nessuno se ne fregava di loro.
Grazie a quella strana scuola sarebbero diventati uomini liberi e avrebbero fatto una grande e bella società, che sarebbe stata giusta perché fondata sull'amore.

Scuola 128, 4-16 dicembre 1970.