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Il bidone

All'ingresso del Campo c'era un grande mucchio di bidoni, tutti rossi e blu. Un giorno uno di essi rotolò lontano dal mucchio e si fermò davanti ad un mucchio di terra spelata.
Così lo trovò Peppe lo scemo, quando tornò dal suo solito giro. Lo fece rotolare fino alla sua baracca. Decise di usarlo per fare provvista di acqua e perciò lo collocò davanti alla porta, coperto da una vecchia tavola, contro la zozzimma. Ogni tanto ci si faceva il bagno, poi lo lavava accuratamente e lo riempiva di nuovo di acqua.
Quando era allegro, o gli era riuscito di bere un po’, suonava sul bidone delle musiche a percussioni che inventava là per là, o sul motivo delle canzoni più conosciute.
Poi trovò un altro bidone, più nuovo, per l'acqua e il bidone vecchio, che non era più tanto rosso, né tanto blu, e aveva cominciato ad arrugginirsi, diventò, dopo avere sofferto due altri buchi, uno a sportello a l'altro per il tubo del fumo, una bella stufa economica, che, avendo della legna, avrebbe potuto riscaldare mezzo campo, ma, invece, era quasi sempre spenta, e fredda, quasi gelata. D'estate diventò la cuccia di Rodò che si divertiva a spiare tutto e tutti, dai buchi.
Dall'apertura più grande, infatti, non usciva la testa di Rodò, ma quasi sempre, la coda, che si muoveva come un tergicristallo.
Col passare del tempo il bidone invecchiò. Qua e là la ruggine l'aveva spertusato e sull'antico blu aveva disegnato fantastiche macchie rosso scuro, e giaceva abbandonato vicino al vecchio mucchio di suoi fratelli nuovi e lustri.
Quando, ormai, né Peppe né Rodò lo usavano più, perché avevano altri guai per la testa, che un vecchio bidone, ci giocavano i ragazzi, Ciro, Raffaele, Antonio, Assunta e Peppino. Uno o due si sdraiavano dentro e gli altri spingevano il bidone facendolo rotolare. Quando erano troppo pochi per giocare così, si sdraiavano con la pancia sulla rotondità del bidone e si lasciavano scivolare intorno, insozzandosi tutti di ruggine e di segni blu.
Un giorno, però, spingendolo per gioco, il bidone finì nel lagno e là restò.
La notte era popolato di grilli e il giorno era protezione al gatto Ferdinando che si sdraiava alla sua ombra o si riscaldava, sdraiato come un pezzo di gomma sulla sua lamiera, ad assimilare il sole. Là rimase, ammaccandosi sempre di più, sotto le pietre che piovevano su di lui.
A furia di ricevere pietre, però, un giorno successe che cadde un grosso pezzo di vernice e, di sotto, uscì un pezzo di lamiera lucida. Così, quando quella notte uscì la luna, gli riuscì di luccicare un poco, di nuovo. Fu molto contento di questo fatto e, dimenticando tutte le sue sventure e i topi che gli facevano il solletico sotto, si addormentò contento.


Scuola 128, 6 giugno 1969.