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Lavorare con le scuole: ahi, ahi, ahi....

La vicenda del Gridas è cominciata da una generosa (e disastrosa) collaborazione con il 58° Circolo di Secondigliano (ora Scampìa).
Per vivacizzare l'insegnamento scolastico si fece della pittura collettiva, su rotoli di carta da parati, tutta una classe, insieme. Si ridipinsero a colori vivaci dei tavoloni-banchi da lungo tempo abbandonati, si fabbricò una serie di "blocchi logici" in legno smaltato, si introdusse nella scuola uno strumento sovversivo e pericoloso e inquietante, per la mentalità codina degli insegnanti: un innocuo proiettore di diapositive, portato da casa, insieme con le diapositive di pitture dell'Antico Egitto, fabbricando artigianalmente strumenti per oscurare la moltitudine di finestre. (Si diffuse la voce che si oscuravano le aule per pomiciare con le insegnante?!), che poi si sarebbe potuto chiedere un contributo.ecc.: il risultato fu che il "volontario" fu cacciato a calci in culo dalla scuola, e le maestre che ne avevano incautamente accettato la collaborazione "diffidate" dal trattenere in aula una persona "estranea" che "non si era sottoposta agli accertamenti antitubercolari"! A cura del Consiglio di Circolo, da sempre lottizzato fra le varie "forze politiche" e da un direttore che andava in giro a sproloquiare sulla creatività dei bambini e l'eccellenza delle loro creazioni.

Da allora (1981) è passato parecchio tempo e la nostra "collaborazione con le scuole" si è estesa dal 58° Circolo a decine di scuole di ogni ordine e grado, dalla materna alla università (tranne che al 58° Circolo) con murales, laboratori creativi, corsi-laboratori di aggiornamento, proiezioni di diapositive, interventi saltuari.

Proviamo a fare una sorta di bilancio della nostra cooperazione-esperienza pluriennale, a parte l'amarezza di dover constatare la povertà umana di tanti che si ritengono "insegnanti" e dotati di una "professionalità" acquisita con l'anzianità di servizio, ma poi confessano candidamente (un "professore" di Nola) di stare nella scuola "solo per la pagnotta" o di stare nella scuola ad insegnare "educazione artistica" perché "non siamo mica dei Picasso"! Dobbiamo sollevare una viva protesta contro questo ambiente oppressivo, ottuso e negatore e soffocatore della libertà e della creatività.

È un crimine sopprimere l'aspirazione alla libertà creativa dei ragazzini per insipienza, per ignoranza, per strafottenza. Abbiamo visto collezioni di diapositive nei relativi contenitori, abbandonati in mezzo alla riserva di stracci per lavare a terra, stanze enormi, zeppe di "sussidi didattici", regolarmente protette da porte blindate, mai violate da chi volesse usarli, ma solo dai ladri, decine di proiettori, "il piccolo tipografo", mappamondi sventrati, forni per ceramica mai usati per insufficienza della potenza di energia elettrica della scuola, macchine per cucire senza aghi, macchine per scrivere senza tasti, fioretti per la scherma, misteriosi strumenti di cui si è persa la nozione dell'uso perché chi li aveva fatti acquistare è stato poi trasferito, proiettori orbi dell'obiettivo, decine di schermi avvolgibili, ciclostili abbandonati e ormai obsoleti, ecc. ecc.

Per accedere a questi tesori, una volta recuperate le chiavi, bisogna farsi strada fra polvere e ragnatele, ché i locali "non in uso" non vengono mai puliti dai bidelli. Di come si puliscono poi quelli "in uso" è meglio non parlare!
Palestre faraoniche, che nessuno si sobbarca alla fatica di spazzare, tutte regolarmente ampiamente finestrate, e pertanto non agibili perché i vetri potrebbero rompersi e così via.

La scuola è una malattia esantematica, dicevamo agli incontri organizzati dal "Presidio permanente in difesa dei minori e della scuola" nel 1993.
Tutti abbiamo avuto la scuola, come il morbillo, la scarlattina, la parotite, la rosolia, e, come per le malattie esantematiche, chi non le ha da piccolo, rischia di acchiapparle in forma più grave più tardi, in età adulta. E c'è chi questa malattia se la ritrova cronica, e sono gli insegnanti.
Come la si potrebbe curare?
Una cura c'è, a nostro parere, ed è nella restituzione, al rapporto fra i vari presenti nella comunità scolastica, di quella carica umana, dell'umanità, troppo spesso esclusa dalla burocrazia e dall'artificiosità dei rapporti obbligati nell'istituzione.

A scuola i bambini ci vanno perché "ci devono andare"; mandati a calci in culo da genitori e autorità, e ci vanno di malavoglia e quando la scuola è chiusa, per qualunque motivo, "è festa". Anche gli insegnanti (la maggior parte) ci vanno per dovere e di malavoglia o perché non hanno o non sanno fare di meglio e le frustrazioni reciproche si scaricano in atteggiamenti repressivi e violenti che rendono molto più simile l'andazzo scolastico a quello di un'istituzione totale, un carcere, per esempio, che non a quello di un laboratorio culturale.
L'aspetto esteriore della maggior parte degli edifici scolastici (quelli in sede propria e non in affitto in appartamenti privati) è pure di difficile interpretazione: recinti in cemento armato, sormontati da cancellate e reti metalliche, tante quante le ripetute "incursioni vandaliche".

Ci sono però anche motivi curiosi per cui è piacevole andare a scuola.
A una bambina del Campo ARAR (un vecchio insediamento di baraccati, di fronte al cimitero di Poggioreale), più volte bocciata, e quindi con difficoltà scolastiche, chiesi una volta "ma ti piace andare a scuola?" e mi rispose, stranamente, "si". Meravigliato dalla risposta gliene chiesi il motivo e mi spiegò, candidamente: "a' scola se sta cavere" (a scuola si sta al caldo!).

Se a scuola, invece di soffrire, si facessero cose che avessero senso, entusiasmanti, coinvolgenti, ci si andrebbe con piacere e si imparerebbe meglio, molto meglio.
Un'esperienza significativa e bella resta impressa per sempre nella memoria e riconcilia col mondo e apre nuove prospettive: finestre su mondi altri, incredibili e insospettati. Abbiamo sperimentato, nella nostra esperienza, che quando si fanno insieme murales o laboratori creativi i ragazzi che avevano deciso di marinare la scuola ci sono invece venuti, senza bisogno di essere accompagnati dai carabinieri.
Addirittura è capitato che non si sentisse il suono del campanello di fine delle lezioni e, per chiunque abbia assistito all'esodo prorompente e liberatorio dell'uscita da scuola, quando i ragazzi, correndo a rotta di collo si liberano dell'istituzione e della costrizione, è un segno di un possibile cambiamento.

Il partecipare a una produzione culturale gioiosa e significativa restituisce significato all'apprendimento, giacché è un "fare per" e non più uno sterile e gratuito "esercizio" e l'esperienza è tanto coinvolgente da spingere a raccontarla, a comunicarla ad altri, a
scriverne, e ci si riconcilia con la scrittura, questa attività che tende a diventare obsoleta nell'epoca dei computers e della comunicazione telematica.

Restituire senso e pregnanza alle parole, che è lo specifico della poesia, anziché distruggere la gioia della creazione con la "riduzione in prosa", il più stupido degli esercizi. I nostri ragazzi, privati della gioia di vivere, perseguitati dagli omologatori dell'umanità, da chi ritiene che insegnare significhi ridurre tutti ad un comune denominatore, far diventare tutti pecore belanti da avviare al macello (il direttore della scuola "Mastriani", quella frequentata dai bambini del Campo Arar, ci disse che il libro "Lettera a una professoressa" era un libro "anarchico"!) hanno bisogno invece di una scuola che recuperi il loro vissuto, che li aiuti in un percorso critico della società, della giustizia, del vivere civile, e soprattutto apra loro porte e finestre su mondi altri, dove sarebbe più bello vivere, mondi da costruire insieme, col contributo di tutti, per stare meglio insieme.

La difficoltà sono gli insegnanti insensibili ai loro bisogni. Ci è capitato di fare laboratori di carnevale in cui, con noi, i ragazzi entusiasti lavoravano insieme con gioia e il loro insegnante se ne stava tranquillamente seduto con l'impermeabile e il cappello in testa, senza minimamente farsi coinvolgere, o se ne stava in cattedra a compilare le schede di valutazione.
I ragazzi erano perfettamente coscienti del valore di ciò che stavano facendo e infatti hanno scritto: "oggi è una bellissima giornata, ma non perché c'è il sole: perché stiamo lavorando insieme"! e ancora "quest'anno per carnevale ci siamo divertiti molto a fare maschere, bandiere e altre cose, e nonostante questo abbiamo imparato tante cose" !
Il che la dice lunga sulle possibilità di curare la vecchia "malattia esantematica" e di restituire significato al fare scuola, ma sul serio, che non vuol dire in maniera uggiosa, scocciante e costrittiva.
La pedagogia della creatività!

Non tutto è da buttare. È vivo a Napoli, dal 1990, un "Presidio permanente in difesa dei minori e della scuola" che, partito dalla denuncia delle disfunzioni e della strafottenza delle autorità che ha finito per negare nei fatti il diritto all'istruzione dei nostri ragazzi, è diventato un punto di riferimento della didattica viva e umana, coordinando e favorendo la comunicazione fra quanti nella scuola vivono e lavorano con impegno, privilegiando il protagonismo dei ragazzi.
Si sono organizzate, per un paio di anni, a fine anno scolastico, le "Giornate di Icaro", progetti per la scuola di ogni giorno, in contrapposizione ai tanti "progetti speciali" partoriti dal ministero o da altri organi centrali e piombati nella realtà della scuola napoletana a casaccio, senza alcun senso critico, senza alcuna valutazione dell'effettiva efficacia e con grande spreco di risorse.

Invece, nelle "Giornate di Icaro" si sono potuti far conoscere alla città le realtà di produzione culturale delle scuole, straordinari lavori teatrali, pittura, poesia, esperienze di autogoverno, che fanno ben sperare nel futuro, solo che si riesca a rompere il muro dell'indifferenza e l'ostracismo dei media contro le potenzialità del quotidiano.

Le "Giornate di Icaro", come tutte le attività del Presidio, sono state sistematicamente boicottate e ignorate dalla stampa e dai media: non si deve sapere che è possibile fare con efficacia e costruire il cambiamento!
E invece è proprio questa la strada: recuperare la creatività dei nostri ragazzi, invece di soffocarla e reprimerla. Privilegiare esperienze coinvolgenti e significative perché corrispondenti alle loro esigenze, invece della quotidianità del nulla. Far entrare il vissuto dei ragazzi nella scuola, invece di costringerli a lasciarlo fuori; recuperare dalla vita quotidiana, dalle sue contraddizioni, dalle sue difficoltà materiale di insegnamento, di critica per crescere.

Portare i prodotti della produzione culturale realizzata nella scuola all'esterno, sollecitare l'attenzione critica dei cittadini su ciò che accade nella scuola, chiedere a tutti un contributo, di idee e di esperienza, rispondere all'interrogazione della società che deve sapere che cosa si fa dentro le mura e i recinti delle scuole, perché è cosa che tutti ci riguarda.
Così si creerà un'atmosfera viva di creatività, di elaborazione culturale, e chi non è sensibile a questo, chi è indifferente alla scintilla di gioia che si accende negli occhi dei ragazzi che hanno scoperto l'entusiasmo dell'invenzione, chi non è capace di valutare se quello che insegna corrisponde alle esigenze dei suoi piccoli allievi o è solo uno sterile esercizio finalizzato al conseguimento della pagnotta, sarà costretto ad andarsene: capirà che la scuola è ad un livello troppo alto rispetto alle sue meschine capacità umane di comprensione.
Solo così si potranno liberare i ragazzi dai loro persecutori, che si chiamino professori, maestri o bidelli, presidi o direttori.

A Scampìa, sull'onda dei murales, dei laboratori per carnevale, delle attività del Presidio, si sono elaborati alcuni progetti che stiamo portando avanti.
Dalla fine dell'anno scolastico 93-94 si è iniziata una nuova tradizione; una manifestazione di fine anno scolastico con la realizzazione di mostre e documentazioni aperte al quartiere di ciò che le scuole hanno prodotto nell'anno, così che i cittadini possano sapere che si fa nella scuola e la scuola spieghi che cosa intende e sa fare e ascolti anche le critiche. Nel 1994, dal 2 al 4 giugno si è riusciti a coinvolgere tutte le scuole, dalla materna all'università (i progetti su Scampìa di un corso di progettazione architettonica, ma anche il dipartimento di filosofia e politica dell'Istituto Universitario Orientale) con spettacoli teatrali, mostre, tamburi e fuochi artificiali: la scuola deve essere visibile e riconoscibile nel territorio.

Un altro progetto per il quale ci stiamo battendo è quello dell'apertura sperimentale delle scuole dalla mattina alla sera: la mattina i bambini a studiare, il pomeriggio i giovani a suonare, fare teatro, creare, la sera gli adulti a discutere e ipotizzare soluzioni dei problemi del quartiere: la scuola come luogo di esercizio e di realizzazione della democrazia. Si dimostrerebbe così nei fatti che la scuola appartiene a tutti, è un bene collettivo, ma fruibile, non una astrusa e nemica istituzione da vandalizzare.

Terzo progetto: la realizzazione di una "Casa delle Culture" nel vecchio centro sociale abbandonato di via Monte Rosa, dove ha sede il Gridas. Uno spazio di libera attività e sperimentazione di tecniche espressive, al di fuori del controllo di presidi, direttori, professori e bidelli, autogestito e gratuito, insieme con un centro di documentazione e produzione di contributi sulla storia del quartiere: registrazione delle esperienze di vita degli anziani, raccolta di video e testi stampati, per recuperare la storia, per riflettere sul vissuto, per ipotizzare e costruire insieme un futuro migliore.

La vendita di questo libro, se mai riusciremo a stamparlo, servirà a recuperare i fondi per portare avanti il nostro progetto. Contro lo strapotere del denaro: siamo poveri e orgogliosi di esserlo.