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La marcia verso la pace

26 - 28 giugno 1991.
Realizzazione del mural con i ragazzi delle comunità cristiane di base al villaggio ecumenico di Monteforte Irpino (Avellino): “La marcia verso la pace”, l’umanità in cammino verso la fratellanza.


Testo illustrativo


Il cammino della Pace
Un mural a Monteforte Irpino


II mural al villaggio ecumenico di Monteforte nasce per iniziativa della Comunità cristiana di base del Cassano, che ha organizzato un incontro, dal 24 al 28 giugno 1991, sul tema “La Bibbia e noi”. Il Gridas ha partecipato all’incontro per la realizzazione di un discorso figurativo che in qualche modo evidenziasse le riflessioni elaborate nell’incontro e, dovendosi realizzare sul muro all’ingresso del villaggio, fosse anche in qualche modo un appello, un’interpellanza ai passanti.
Noi ci riteniamo laici, ma sensibili ai discorsi e alla testimonianza di vita del falegname, una sorta di “atei cristiani”, pertanto il nostro approccio alla Bibbia è, ora, di considerazione di una fetta del grande patrimonio collettivo dell’umanità, in quello che essa ha prodotto di più notevole e significativo: una sorta di enciclopedia dei miti, ma insieme un contributo vivo per crescere meglio, perché buona parte dei suoi libri, come del resto di altri testi “sacri”, è scritto in poesia e la poesia è, a nostro giudizio, il meglio dell’uomo, una delle tante manifestazioni dell’Amore.
Ma amore, se non è sentimentalismo, vuol dire impegno concreto per crescere insieme, e un simbolo che potesse riunire tutto questo ci è sembrato l’arcobaleno.
Viviamo in un’epoca squallida, contrassegnata, come da uno dei caratteri, più diffusi dal consumismo: si consuma tutto, anche le parole, anche i simboli: la “civiltà” dell’usa e getta! Pertanto forse è bene, anzi è essenziale a un discorso poetico o artistico, recuperare il significato dei simboli, nonché delle parole, affinché tornino alla loro originaria pregnanza.
Dunque l’arcobaleno, o, come dicono i Francesi, l’arco in cielo, compare nella Bibbia al capitolo IX della Genesi, vv. 9-17, come simbolo della nuova alleanza (quante ce ne sono state!) fra Dio e gli uomini e fra TUTTI i viventi, e come promemoria per Dio affinché non facesse più piovere fino ad affogare tutti e per gli uomini, affinché sapessero che ogni pioggia non era un nuovo diluvio. Un simbolo cosmico, posto nel cielo per potersi intendere come discorso universale: il cielo è più grande del piccolo tetto di una casa o di un’arca.
Nell’incontro di progettazione, il pomeriggio del 26, si è deciso pertanto di collocare sul muro l’arcobaleno, per indicare la direzione nella quale camminare: verso la pace, pace non solo fra gli uomini, ma fra tutti i viventi, che sia riconciliazione non solo di tutti gli uomini fra loro ma anche degli uomini con la natura, e nella natura ci sono esseri chiaramente animati, gli animali, ma c’è una vita diffusa che riguarda anche le piante e in genere l’ambiente. Allora si è pensato di rappresentare ben vive anche queste altre realtà, e poiché un segno di vita è il poter camminare, si è rappresentato un grande corteo. Il mondo il marcia, tutti che camminano, anche gli alberi e le piante, anche le case (allusione al villaggio in marcia disegnato da Marc Chagall, Vitebsk che cammina, perché ne portiamo con noi la memoria, perché ogni casa è una dimora temporanea, perché ogni alloggiamento non è che una tappa...) e il gruppo di marciatori è fatto non solo di uomini ma anche di animali, allusivi a tutti i continenti, e, fra gli uomini, quelli di diverse etnie, ma anche quelli di diverse epoche, per alludere alla storia, e alla direzione che noi, i cristiani, vorremmo dare alla storia, un cammino, appunto verso la pace e la fratellanza.
Così sotto l’arcobaleno, a sinistra, il cammino comincia con un gruppo di uomini primitivi, quelli che ci hanno tramandato il messaggio, quelli del nono capitolo della Genesi?, forse. Poi ci sono una giraffa con sul dorso una scimmia, un ippopotamo e un rinoceronte, poi delle figure medievali, i lavoratori della terra, le monache, i frati, poi figure del Seicento (Cartesio?) e le istituzionalizzazioni del potere, ecclesiastico e civile, re, regine, papi, anche “dotti” (il riferimento è alla spocchiosa tracotanza dei pedanti anche protestanti, con i quali ebbe a scontrarsi Giordano Bruno). Gesù l’abbiamo messo in volo, a simboleggiare come certe storture delle istituzioni “cristiane” pretendano di riferirsi a lui, ma anche a indicare come il suo messaggio sia rimasto nella mente degli uomini come aspirazione, anche se contraddetta dall’esperienza quotidiana.
Tra il Medio Evo e Cartesio c’è (e come poteva mancare, in attesa del 1992!) Cristoforo Colombo, con le carte di viaggio, il biglietto per l’America e affianco a lui un indio e un lama, nel senso dell’animale, testimonianza e allusione alle vittime della conquista. Nel cielo vola un uccello colorato, poi ci sono piante, alberi, altre piante, e case, tutti in cammino, che vanno a costruire la città, la casa, dell’uomo, se la città, come in una bella frase di Doumenache, è “un’associazione di uomini in quanto hanno nozione della giustizia”!
La città organizzata è delineata in una serie di sagome di costruzioni che vogliono avere i colori del sogno, perciò sono delineati da una linea nera e bianca anziché dal semplice contorno nero che delinea le altre figure. Sotto il panorama di costruzioni, alcune figure allusive a quelli che questo cammino si sono sforzati di renderlo concreto e viverlo, additando prospettive vivibili agli uomini: ci sono Camillo Proudhon, Carlo Marx, ma anche Martin Luther King, Gandhi ed Ernesto Cardenal: alcuni, non certo tutti, di quelli che il cammino rappresentato sul muro hanno provato a intraprenderlo. Non abbiamo voluto rappresentare certo sul muro TUTTA la storia dell’umanità, ma un discorso fatto per allusioni, come accade nella memoria, questo armadio in cui restano “cose vecchie e cose nuove” figure da riscattare dalla dimenticanza, emergenti magari anche per caso. Un caso è l’immagine di Enzo Scarpa, uno della comunità del Cassano, che sta affianco al Cardenal, perché ha chiesto di esserci: come nei quadri antichi, dove venivano raffigurati anche i committenti, in un angolo.
Dove va questa umanità in cammino? Va verso una prospettiva di pace, verso la traduzione in pratica del messaggio dell’arcobaleno, perciò ci sono dei fiori e, tra i fiori, delle mani-fiore, intrecciate, affiancate, mani che simboleggiano gli uomini (Giordano Bruno aveva individuato nella mano la caratteristica distintiva dell’uomo, una mano che è intervento sulla realtà, la mano costruttrice, ma anche legata al cuore (dare la mano) e al cervello, perché l’operare è l’attuazione di un progetto) di diverse etnie, che non si sopraffanno più: stanno allo stesso livello e si intrecciano: c’è una mano bianca, una marrone, una gialla, una rossa, per arrivare ad una mano arancione, dal cui palmo nasce una casa, ecologica perché dal camino esce un fiore, e la corrente elettrica è prodotta da un generatore eolico, ai bordi di un campo coltivato, sotto un doppio arcobaleno che conclude sulla destra il disegno, all’altra estremità del muro.
Vuol dire che la prospettiva alla quale aneliamo è quella pensata confusamente, ma poeticamente nel mito, dai nostri antichi, ma non è una prospettiva utopistica perché nel corso della storia ha saputo perdurare e ne è stata tentata la realizzazione, con sorti alterne, come per ogni semplicità, che è difficile a farsi.
L’utopia come meta, non come assurdo, come la intese Thomas More.
Il dipinto murale ha uno sviluppo di un centinaio di metri quadrati, su un muro grezzo di cemento armato, all’ingresso del villaggio ecumenico.
Sul muro è stato spruzzato un fissativo e si sono usati colori lavabili ad acqua, quelli normalmente usati per gli appartamenti. La reazione degli abitanti del villaggio è stata positiva, quella dei ragazzi del campo entusiastica: ci siamo fatti il bagno nei colori!