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Noi e gli altri

29 giugno - 3 luglio 1992.
Murales alla scuola elementare “M. L. King” a Moie, frazione di Maiolati Spontini (Ancona) con i monelli. “Noi e gli altri”, solidarietà con la resistenza dei popoli neri e indigeni americani.


Testo illustrativo


Noi e gli altri
Murales coi monelli alla scuola elementare “M.L.King” di Moie, frazione di Maiolati Spontini (Ancona)



Per iniziativa dell’amministrazione comunale, su proposta dei consiglieri di Rifondazione Comunista, si è realizzato un laboratorio di murales alla scuola elementare di Moie, nell’ambito delle manifestazioni estive.
Il 29 giugno ci si è riuniti nella scuola per elaborare il progetto dei murales. Erano presenti gli alunni della classe di Angela Priori (che avevano affrontato durante l’anno il tema dei cinquecento anni di resistenza delle popolazioni indigene delle Americhe alla conquista), alcuni alunni di altre classi ed alcuni di scuola media, in tutto una trentina. Si è parlato del senso del fare murales, che non è solo quello di colorare e rendere più gradevole l’aspetto della scuola, ma sopratutto rispondere all’urgenza di lanciare un messaggio alla città, a tutti, partendo dalla scuola, romperne l’isolamento, e in qualche modo appropriarsi della struttura sentendola come propria e restituire significato al disegno e alla pittura come mezzo di comunicazione umana.
Per quanto riguardava il tema si è pensato, partendo da quello della scoperta-conquista delle Americhe, al rapporto fra noi (nord del mondo, europei, occidentali, “progrediti”) e gli altri (indigeni, indios, pellerossa, ecc;) portatori di culture diverse, colpevolmente giudicate “primitive” o incivili da parte di conquistatori allo scopo di legittimare la conquista, le violenze e i massacri.
Ci è venuta quindi l’idea di ricorrere all’immagine di “visioni” diverse, che si è concretizzata nel progetto della dipintura di un paio di occhiali: in una lente il compendio della civiltà occidentale attuale, con tutti i suoi problemi, congestione, sovraffollamento cittadino, inquinamento, spreco, danaro, nell’altra immagine idilliaca di un villaggio indigeno immerso nella foresta, come simbolo di un rapporto sereno ed equilibrato con l’ambiente.
Questo rapporto-confronto fra occidente-nord capitalistico e sud agricolo-non violento nei confronti della natura si è allargato poi alla possibilità di raffigurazione di tutte le specificità, rispettosamente considerate, di culture altre, diverse dalla nostra, ma variegate espressioni della multiforme esperienza umana nel mondo, da rappresentare in modi ancora da definire.
Sciolto l’incontro si è andati a prendere la pittura dal colorificio Piccioni a Castelplanio, con un buono acquisto del Comune.
I ragazzi, i “monelli”, come li chiamano qui, avrebbero partecipato alla pitturazione dal giorno dopo, dalla mattina alla sera, a turni di una decina.
Il 30 giugno si è messa mano all’opera diluendo e spennellando sui muri un fissativo, per favorire l’adesività della pittura sul fondo già dipinto ma alquanto polveroso o malridotto. I muri della scuola, un edificio a un piano, erano piatti e zeppi di finestre, per cui si è deciso di dipingere al di sotto delle finestre, sulla zona intera e continua delle facciate e sulle pareti cieche dei corpi di fabbrica.
La rappresentazione delle diverse accezioni dell’essere uomini in rapporto alla natura si è definita poi nella raffigurazione di diversi volti, all’interno dei fiori che rappresentassero in qualche modo l’ambiente naturale di vita dei diversi popoli e questi si sono rappresentati sulle pareti ai due lati dell’ingresso della scuola. Si trovano così una negretta con i caratteristici capelli pettinati a treccine, sullo sfondo di un’orchidea, un pellerossa sullo sfondo di un cactus, un indio sullo sfondo di un fiore colorato, un peruviano sullo sfondo di un fiore di ibisco e del profilo di un tucano, ma anche un’olandesina su un tulipano e vari volti genericamente “occidentali”-europei e altri fiori stilizzati, sulla parete a sinistra. Sulla parete a destra un eschimese, un’indiana su un improbabile fiore di loto, un palestinese sullo sfondo di una rosa, un tuareg sullo sfondo di un fiore di cardo, un curdo sullo sfondo di Djuranbakir, la capitale abbandonata semidistrutta della loro patria. La terra che genera fiori e genti diverse, altrettanti fiori, spesso intrecciati di sofferenza.
Sulla parete cieca a destra dell’ingresso quattro mani multicolori sovrapposte a simboleggiare la solidarietà fra popoli diversi, sormontate-fabbricatrici di un arcobaleno, simbolo di pace fra tutti, che si allarga sull’architrave dell’ingresso. È in qualche modo anche un omaggio a Martin L. King, cui la scuola è intitolata, e al suo sogno.
Girato l’angolo a destra, l’alterità è stata raffigurata come alterità di animali e frutti inconsueti e imprevedibili a confronto con i nostri abituali, su un muro di fondo particolarmente bersagliato dai tracciatori di scritte, slogan e simboli più o meno sessuali, a gesso, pennarello e spray. Si va dal grande serpente all’elefante, passando per lo scimpanzè, l’armadillo, il giaguaro, il lama, il pappagallo, l’aquila, il marabù, ma anche il mais, le banane, l’ananas e il pomodoro, allusione alle piante fra noi ormai usuali ma importate da altrove, la commistione delle culture-colture. Due occhi di gufo o civetta compaiono in un punto ad accennare alle altre infinite presenze misteriose qui non rappresentate.
Girato l’angolo c’è la parete con gli occhiali, anche questi allusione alla possibilità di conoscenza di mondi diversi, visti nelle loro caratteristiche e specificità, ma collegati, come le due lenti degli occhiali, com’è ormai tutto il mondo, ma con uno sforzo di comprensione, un mettere a fuoco, che è proprio degli strumenti ottici guardare con attenzione, non solo vedere di sfuggita.
A cancellare le scritte “W L’INTER” “W LA JUVE” ma anche per integrare il disegno si è accennato, sotto gli occhiali, alla curva della terra con un’approssimata delineatura dei continenti. La lente col villaggio Yanomani, una tettoia ellittica a uno spiovente, che delimita il villaggio, all’interno della quale ci sono vari focolari e amache sospese, una casa collettiva senza divisioni di proprietà private, capita così in corrispondenza della parte europea della superficie terrestre sottostante, a sottolineare ancora una volta le interrelazioni e gli scambi fra le culture.
Girato l’angolo c’è un grande sole con la faccia, per allargare il discorso a un coinvolgimento cosmico e mitico, e un angolo dopo una grande luna, per metà di faccia per metà di profilo. Tra il sole e la luna una parete dipinta ad alberi, diverse essenze con sullo sfondo abitazioni diverse dalle nostre, capanne, tende di nomadi, teppee, allusione a culture diverse, anche nell’abitare. Guardata da lontano la parete fa da sfondo a due alberi veri, per cui in qualche modo gli alberi dipinti si confondono con questi, per spingere ad osservare con occhi diversi: la pedagogia della creazione è in primo luogo pedagogia dell’osservazione. Alla luna seguono sui muri grandi fiori ed onde di colore e un cerchio colorato a settori, con i raggi che fuoriescono: allusione ai mandala indiani, e per essi a tutti i simboli, ma anche alle potenzialità dei colori di astrarsi dalle forme realistiche per giocare in libertà e generare visioni “altre” mai viste: la libertà infinita della creazione.
Restava il corpo di fabbrica nuovo che ospita le quarte e quinte classi, che fra le strutture di ferro e cemento e vetrocemento ha delle opache campiture di blocchi di pomicemento tinteggiate in viola. Vi abbiamo dipinto un grosso bruco e un improbabile drago a scacchi celesti e blu che sputa fiamme rosso acceso e su un’altra parete ancora grandi fiori che da lontano sembrano spuntare dal verde del prato. È un altro esempio offerto all’attenzione dei bambini delle potenzialità del colore, lo stesso colore, spalmato su superfici a grana diversa, liscia o ruvida, che provoca effetti di diverso “calore”.
Sull’ultima parete grigia, fra due colonne di cemento armato, dell’edificio nuovo si è concluso con la dipintura dello scontro di cinquecento anni fa: la negazione della comprensione dell’altro e l’inizio della conquista delle Americhe. Una grande caravella incombe sulla foresta, fra le cui piante frondose e le grandi foglie fanno capolino alcuni indigeni, alcuni nudi, altri vestiti dei colori del cielo, prestati loro dagli uccelli. Nella caravella si sommano i simboli e le ipocrisie della conquista: la grande croce rossa sulla vela bianca, la “giustificazione” storica della conquista come evangelizzazione e le vere intenzioni svelate dalla bandiera dei pirati, nera col teschio bianco sulle tibie incrociate. Un teschio appeso al bompresso allude alle innumerevoli stragi, l’uccisione e l’esibizione dei cadaveri degli indigeni uccisi per incutere terrore. Sulla caravella stanno tre figure anch’esse emblematiche, il frate, l’avventuriero e il militare, attorno a un cannone, una alleanza perlomeno sospetta.
Ernesto Balducci ha così condensato la vicenda: “Un viaggio per esportare battesimi e importare oro”.
Questo il nostro contributo al ristabilimento della verità nell’anno degli sprechi e della retorica ufficiali per celebrare i fasti della cosidetta “scoperta” offendendo ancora una volta la verità storica, chè, come dice Eduardo Galeano l’America (indigena) non è stata ancora scoperta. Speriamo che le nostre pitture aiutino i bambini, ma anche gli adulti, ad aprire gli occhi.
Dipingere i muri della scuola è stato anche un atto di coraggio: qualcuno esprimeva il timore che i disegni potessero essere rovinati dalle solite scritte spray. Preoccupazione evidente anche nell’impressione fatta sui bambini dal giudizio espresso da un giovane di passaggio, che secondo lui sul muro ci stava meglio la scritta “W L’INTER”. Noi abbiamo fiducia che il messaggio possa essere chiaramente leggibile e ben accolto da tutti. D’altra parte la scuola è più bella colorata e per cancellare tutto il lavoro ci vorrebbe altrettanta fatica di quella fatta a realizzarlo.
Abbiamo lavorato il 30 giugno, l’1 e il 2 luglio dalle 9 alle 17.30 e il 3 luglio dalle 9 alle 13. Hanno collaborato una trentina di bambini, alcuni adulti. È stato bello. Grazie.