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Il pilastro di cemento armato

A Secondigliano le case erano fatte con pilastri di cemento armato e mattoni forati.
Le case uscivano da un terreno sinistrato ed erano esse pure sinistrate, perché non erano ancora finite. Sui pilastri mancava ancora l'intonaco e i mattoni si potevano contare perché mancava ancora il rivestimento.
Fra i pilastri ce n'era uno più sinistrato degli altri. C'erano grossi buchi sulla sua superficie che però non arrivavano ai ferri di dentro. Il pilastro era molto robusto lo stesso, perché aveva un'anima di ferro, All'inizio il pilastro era più chiatto, poi il vento, la pioggia e gli urti della mobilia di quelli che arrivavano nella casa lo avevano mezzo scarrupato.
Aveva visto tante disgrazie: nella palazzina erano arrivate le persone più strane. C'erano stati prima gli operai che lavoravano a costruire la palazzina. Erano stati loro a mettere attorno ai ferri dell'armatura le tavole della cassaforma e poi avevano versato là dentro il cemento impastato con l'acqua e con la sabbia e le pietre, poi l'avevano pestato e poi, dopo alcuni giorni, avevano levato le tavole e così era nato il pilastro. Allora era sano, come tutti i pilastri nuovi e le travi nuove.
Un giorno gli operai stavano mangiando e dalla pagnotta di uno schizzò un friariello, e qualche goccia di sugo, sul pilastro nuovo, così il pilastro rimase macchiato di verde e cocozza. Poi il tempo passò e le macchie non si vedevano quasi più, ma c'erano adesso delle macchie di calce, bianche sul grigio.
Gli operai se ne andarono e la palazzina fu vuota per un poco, ma una notte il pilastro vide arrivare delle persone con i mobili sulle spalle. Erano gente povera, che cercava una casa e perciò avevano deciso di prendersi quella palazzina ed altre case.
Il pilastro li vide arrivare di notte, tutti in fila, con grossi pacchi sulle spalle. Si guardavano attorno per paura della polizia. Restarono là per quasi un anno.
Poi arrivarono altre persone nella palazzina. Questi erano diversi da quelli di prima, erano meno paurosi: invece di avere paura della polizia erano stati mandati dalla polizia.
Passò il tempo.
Il pilastro era ormai in mezzo ad una parete di mattoni forati e dall'esterno quasi non si distingueva più dai mattoni: il grigio si era tutto sbiadito.
Il pilastro si sentiva sempre più triste ed avrebbe voluto andarsene da quel quartiere e fare parte di un palazzo bellissimo, tutto di vetro e di alluminio, ma invece non riusciva ad allontanarsi da quel posto perché era tutta una cosa con gli altri pilastri e con le travi della palazzina: i ferri dentro di loro formavano come una sola grande gabbia.
A poco a poco il pilastro si abituò a questa sua condizione: la sua vita cominciava a piacergli. Aveva incontrato tante persone, gli operai che lo avevano costruito, gli ingegneri che andavano a vedere come cresceva, i sinistrati che avevano occupato le case per primi ed ora quelli che abitavano là e che ogni tanto lo prendevano a martellate perché cercavano di appendere qua e là qualche mobile.
Al pilastro queste martellate davano fastidio, ma quando finivano s'immaginava di star bene, unito con gli altri pilastri e con le travi, a proteggere quella gente.
Si paragonava agli alberi e così si sentiva qualche volta perfino contento, nonostante tutto quel grigio e tutta la zozzimma che si accatastava ai suoi piedi.


Scuola 128, 19-26 gennaio 1970.