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Introduzione - IV parte

1969-1970

Secondo censimento

Si riprese a settembre e ci si ritrovò nelle stesse condizioni, finché si fece un giro per le baracche, per chiedere se la scuola era richiesta oppure no.
Incontrammo alcuni che ancora non conoscevamo e i ragazzi passarono da uno a una sessantina, e non si seppe più dove metterli.
Si dovette fabbricare un altro tavolo, e questa volta comprando il materiale lì stesso, da uno che rivendeva legno e masonite usati.
Si riprese a leggere "Lettera ad una professoressa", questa volta con un po' più di attenzione.
Poi leggemmo "Le bacchette di Lula", per concludere il discorso sulla scuola ed avviare una critica ai "sistemi educativi".
Intanto avevamo cominciato a cercare dei principi di vita e di azione comune, partendo dall'analisi dei "fatti del giorno".
Si leggeva anche la Bibbia e si continuavano a fare disegni e ad inventare racconti.
Si andò avanti fino a novembre e di nuovo si assistette alla scomparsa dei ragazzi, che scesero da sessanta a cinque o sei.
C'era però un motivo nuovo, e più serio, e lieto: stavano finalmente avendo le case.

Le case
Dopo una quantità di dimostrazioni, proteste e riunioni (2), si era riusciti a maggio-giugno del 1968 ad ottenere un bando "chiuso" per l'assegnazione di case popolari alle 186 famiglie del campo e a quelli di via S. Giovanni e Paolo, sinistrati per un incendio.
Dopo "piccoli" accertamenti, fatti solo per tenere buona la gente, del bando non si era saputo più niente. Nel frattempo, all'inizio del 1969, alcuni senzatetto erano andati ad occupare le case a Secondigliano, destinate ai baraccati, e alcuni baraccati erano andati anche loro ad occupare le case, per non restare senza.
Siccome il fenomeno delle occupazioni era di proporzioni notevoli (circa seicento famiglie in tutta Napoli) e gli occupanti avevano tutte le ragioni di essere stanchi di aspettare che si assegnasse loro una casa, le "autorità" furono incapaci di risolvere la cosa e, invece di accettare lo stato di fatto e di assegnare ai baraccati le altre case disponibili, si affrettarono ad assegnare tutti gli alloggi vuoti da tempo, per coprirsi le spalle, cercando poi di spingere i baraccati contro gli occupanti, secondo il buon vecchio sistema del "divide et impera".
Così passarono i mesi, finché gli occupanti furono costretti, stanchi di lottare, ad accettare un contributo mensile per l'affitto di una casa, che dovevano cercarsi non si sa dove, mentre i baraccati e gli altri assegnatari venivano sbattuti con ordini di polizia nelle case appena liberate dagli occupanti, tutte fetenti senza vetri alle finestre, né acqua, né fogne, né luce elettrica, né strade, all'altro capo di Napoli, con la sottintesa minaccia di un improvviso svanimento del miraggio della casa, se non avessero accettato.

A Secondigliano
Così anche noi, invitati forse più per "complimento" che per reale desiderio da qualche famiglia, seguimmo i ragazzi a Secondigliano.
Dovemmo ricominciare da capo.

Muratori, falegnami e affini
Dopo varie ricerche, ci si è sistemati in uno scantinato un po' meno umido degli altri, e dopo un mese di lavori, fatti da noi e da qualche amico prestatosi generosamente a lavorare gratis (si è dovuto abbattere un muro, costruirne un altro, arrangiare un pavimento con "riggiole" di fortuna, sistemare la finestra, incastonare la porta, dipingere il tutto, ecc.) si è riaperta la scuola.
La storia di chi la frequenta non è molto cambiata, per cui si è conservato il nome "Scuola 128", anche perché era scritto sulla porta che ci siamo portati dietro dalla baracca.
Anche qui si è ripreso come prima, con i medesimi alti e bassi e discontinuità, di frequenze, ma noi due siamo più maturi.

Terzo censimento
All'inizio erano 107 ragazzi, ora sono una trentina come punta massima, però adesso si riesce a leggere il giornale, c'è un po' più di ordine e, anche se non ce ne rendiamo conto momento per momento, questo si nota confrontando il comportamento di quelli che vengono con un po' più di costanza con quello di qualcuno dei vecchi tempi che ricompare improvvisamente, ogni tanto, spinto da qualche incomprensibile motivo, malnoto a lui stesso.
E qui si rivela il lavoro fatto dalla Terza Persona che si occupa di questa "scuola". Senza costui la nostra scuola si sarebbe chiusa da tempo e in diverse occasioni. Del resto non a caso quasi nessuno si è occupato mai del sottoproletariato.

Cultura del sottoproletariato
Sono emerse durante questi anni alcune caratteristiche dei ragazzi sottoproletari, e, riflessi in loro, gli atteggiamenti dei genitori, della scuola di Stato, e le vergogne della società che li ha collocati al margine e là li mantiene.
La situazione della casa a Secondigliano è ancora la stessa: non ci sono ancora i vetri alle finestre, non è stato fatto ancora alcun lavoro di completamento all'interno delle "palazzine", né si ha intenzione di farne. Per l'acqua funziona ancora l'attacco di fortuna fatto dagli "abusivi". Per la fognatura per tutto l'anno si sono continuati ad usare i pozzi neri di fortuna, che ogni tanto straripavano allagando gli scantinati, giacché per farli vuotare ci volevano quindici giorni di dimostrazione e proteste al Comune.
Solo alla fine del 1970 si sono completate le fognature e le strade.
Per la sistemazione definitiva delle case chissà quanti altri anni passeranno.
Gli abitanti sono singolarmente impreparati ad affrontare una simile situazione particolarmente ingiusta, perché hanno conservato la loro mentalità pseudo-contadina, egoistica e disorganizzata e, nonostante la serie di vicende trascorse, non hanno ancora capito che per cambiare la società l'unico mezzo umano è organizzarsi per lottare insieme, superando le inimicizie e gli umori del momento.
Il fatto è che un atteggiamento di simile disponibilità all'organizzazione, o, se si vuole, una presa di coscienza di classe, è per lo meno difficile per i sottoproletari. Si direbbe, come si accenna in uno dei racconti, che tutte le loro energie siano assorbite dalla quotidiana lotta per la sopravvivenza, con le conseguenti discontinuità di umore e di comportamento, che risultano disastrose sia per qualunque continuità di azione comune, che per i risultati dell'educazione familiare.

La nevrosi
In realtà le discontinuità di frequenza e l'ambivalenza dei ragazzi, che rendono così difficile lavorarci insieme, non sono del tutto imputabili a loro.
Il fatto che siano picchiati selvaggiamente a casa perché il padre o la madre stanno nervosi più che per l'effettiva gravità di una loro colpa, distrugge il rapporto fra colpa e punizione e comincia a radicare nei ragazzi quell'atteggiamento fatalistico che è l'esatto opposto di una partecipazione responsabile e attiva alla vita sociale. Mancando ogni rapporto fra colpa e punizione, manca il bisogno di pentirsi o di cambiare comportamento, e si diventa elusivi e falsi, cercando più che altro di interpretare gli umori dei genitori o del maestro per sfruttarlo a proprio vantaggio, e, quando si sia stati puniti, rifiutando ogni responsabilità della cosa.
Una delle manifestazioni di questa nevrosi collettiva è la terribile ferocia ed il sadismo verso gli animali: i cani vengono affogati e sotterrati vivi, o presi a sassate, o mutilati selvaggiamente, e in genere non si è capaci di un attaccamento o un affetto per gli animali, preferendo piuttosto affermare il proprio possesso e il proprio potere su di essi con una sorta di primitivo "diritto di vita e di morte". Abbiamo visto un ragazzino di cinque anni divertirsi sbattendo a terra un povero pollo fino a ridurlo in fin di vita. La madre, avvisata da noi perché dicesse al figlio di smetterla, dopo aver controllato il grado di vitalità del pollastro aprendogli un occhio, disse al figlio che poteva "divertirsi" un altro poco e poi passarlo alla sorella più piccola perché si spassasse un poco anche lei.
Non ci pare che possa spiegarsi un simile comportamento se non con la nevrosi, effetto di una serie di frustrazioni nella vita sociale di ogni giorno.

L'incapacità di amare
Il guaio più grosso è che il risultato di tutti questi fattori è l'assoluta incapacità di amare.
Non si è capaci di amare se i rapporti fra le persone sono solo basati sull'utilità: si è affezionati alla zia perché ha fatto un regalo, e viceversa, se non ha fatto alcun regalo, non le si deve nessun affetto.
Il rapporto affettivo anche con i familiari più stretti oscilla fra l'utilitarismo e lo spirito possessivo, ed è profondamente incoerente. Si alternano un affetto smanceroso e fanatico e tratti vicini alla crudeltà, nelle picchiature selvagge o anche nella vita di ogni giorno, caratterizzata da un peso sempre più grave sui figli più piccoli. Sono le sorelle più grandi e non le madri che devono badare ai figlioli più piccoli, devono andare a fare la spesa e fare i servizi di casa, mentre le madri si riposano e soffrono di mal di testa.
Il padre è una sorta di giustiziere che al suo ritorno dal lavoro deve punire i colpevoli, e si comprende l'assurdità di una punizione attesa per tutto un giorno, fino al ritorno del padre, e la conseguente crudeltà di una punizione "a freddo", senza magari conoscere i motivi.
Al contrario si trova un atteggiamento di assurda "protezione" per i figli, per partito preso, giustificata nelle maniere più strane (uno è nato col parto cesareo, un altro da piccolo è caduto nell'acqua calda, un altro un anno stette malato, lì lì per morire, ecc.) che impediscono di picchiare o comunque di punire il figlio, qualunque cosa faccia.
Si viene così all'assurdo che questi ragazzi, che dovrebbero conoscere la vita dura ed essere più maturi degli altri, sono invece solo viziati, ed è questo il motivo per cui sembra quasi inesorabile che anch'essi, cresciuti, divengano sottoproletari. Grazie all'affetto sbagliato e alla feroce "protezione" dei genitori che, memori della propria infanzia disastrata, vogliono evitare ogni fastidio ai propri figli, fino a farsi tiranneggiare da loro.
La scuola soltanto potrebbe cambiare le cose; ma quale scuola?

La scuola di Stato: Gli insegnanti
La scuola dello Stato, che ordinariamente è offerta loro, resta una cosa estranea alla vita.
Gli insegnanti soni incapaci, tranne rare eccezioni, di interessarsi ai loro problemi, preoccupati solo delle loro qualifiche, della carriera e del punteggio, pronti a risparmiarsi fatica e a bocciarli ancora, ignorando che per loro una bocciatura può equivalere alla fine degli studi.
Abbiamo sentito anche che alcuni insegnanti si sono permessi di consigliare a qualche genitore di non mandare più i figli a scuola perché "non avevano cervello", ignorando evidentemente che l'obbligo scolastico vale per tutti i cittadini, non solo per i cervelloni.
I libri, e purtroppo anche i "professori" esemplificano la codificazione dei luoghi comuni: il pecorismo, la massificazione universalizzata, priva di anima, di critica, di valori, ossequiente solo ai pregiudizi più diffusi.
Un direttore didattico ci ha perfino detto candidamente, protestando contro il nostro tentativo di lettura della "Lettera ad una professoressa" da lui definito un libro anarchico (!), che riteneva suo compito "inserire i ragazzi nella società" e non invece insegnare loro a discernere i valori e ad essere attivi e critici nella società: suo ideale era produrre pecore da "inserire nel comune e generale macello”.

I libri di testo
Basta del resto, per rendersi conto dell'andazzo imperante nella scuola elementare attuale, aprire uno dei libri correnti ed esaminarlo sulla base di un minimo di ricchezza umana. C'è di tutto: religione, storia, geografia, aritmetica, geometria, ecc.

Religione
Quanto alla religione, essa è acriticamente presentata nei suoi aspetti più esteriori e meno essenziali: dei santi si parla solo attraverso le leggende più sciocche, del Vangelo si presentano delle parafrasi gratuite, o dei testi monchi. Le parabole sono accuratamente private di ogni conclusione morale, per cui si riducono solo ad una banale storiella. Sorge il dubbio che la religione sia per gli autori molto più un sostegno dell'autorità che un fatto vitale.

Storia
La storia è ridotta a gratuiti giudizi qualunquistici e contraddittori, e ad una sfilza di date che ne rendono difficile l'apprendimento e ne fanno scadere l'interesse, con l'annullamento di ogni rapporto con la realtà, quando non si tratti di pura leggenda inventata magari dagli autori.
Inutile dire che manca qualsiasi aggiornamento agli sviluppi sociali e alle mutazioni di regime.
C'è ancora scritto che "perdemmo l'Africa" e simili, oltre al diffuso militarismo che induce a pensare che la storia sia solo un allegro susseguirsi di guerre.

Geografia
Quanto alla geografia, gli autori non sono neanche sfiorati dal dubbio che, oltre la geografia fisica, esiste anche la geografia "politica", né suppongono che studiare la geografia possa significare conoscere altri popoli e altre condizioni di vita.
Così non si trovano che, ancora, sfilze di nomi da imparare a memoria.
I programmi, assurdamente vasti, fanno il resto.
Alla quinta classe si dovrebbe studiare la geografia di tutto il mondo e anche dell'universo, per cui si finisce col trovare scritto sul libro che, per esempio, il Brasile è molto ricco perché "produce molto caffè" (non esiste il Nordest), per l'Africa non c'è che un elenco degli Stati, Cuba è "la perla delle Antille", e per ogni regione d'Italia c'è solo una mezza pagina anonima e insignificante, inneggiante alla "civiltà" dei consumi.
Quanto all'applicazione e all'interpretazione che dei "testi" fanno gli insegnanti, basti dire che è capitato che l'insegnante di una nostra ragazza desse un problema su una piazza "dal lato lungo cm. 9" e il giorno dopo un problema su un fazzoletto che aveva "il lato di dm. 27". Che questo serva ad aiutare ad una comprensione delle unità di misura, non sembra proprio evidente; e non è un caso isolato: simili cose sono accadute pure con altri insegnanti, come quella che pretendeva di sapere quanti letti entravano in una certa corsia di ospedale, senza precisare quanto fosse largo ciascun letto, e altre amenità del genere.
Ma, a parte l'incompetenza e l'ignoranza che, con la pratica inamovibilità degli insegnanti, diventano un fatto tragico, ciò che è più dannoso è l'enorme povertà umana di quelli che dovrebbero "educare".
Hanno un sacro terrore della "politica", anche ove significhi solo cercare le cause di alcuni fatti sociali, nessun valore per cui vivano, nessuna religione, soprattutto non pare che amino i ragazzi o forse che amino alcunché.
Naturalmente ci sono eccezioni sia fra i libri di testo che fra gli insegnanti, ma è doloroso che ciò che dovrebbe essere norma sia invece raro caso isolato, sopravvissuto chissà come ai tentativi di soffocamento dell'istituzione.
Stranamente i libri migliori subiscono un diffuso ostracismo, appunto per la rarità di insegnanti intelligenti che li scelgono.

La lingua
I libri di letteratura spesso non sono che una serie di pagine, zeppe di parole incomprensibili, ottenuta magari, nel meno peggiore dei casi, con una scelta di brani di autori celebri, chiaramente non adatte ai ragazzi.
Non si è ancora capito che la lingua parlata dai ragazzi più poveri è generalmente il dialetto, non l'italiano; pertanto va insegnato l'italiano come una lingua straniera, del tutto nuova, se si vuole veramente lavorare per l'alfabetizzazione dei cittadini.
Per fare questo è necessario che si scelgano accuratamente le parole più semplici, non perché sembrano semplici a noi, ma perché appartengono alla lingua di ogni giorno e sono la traduzione dei più usati termini dialettali.
Se è necessario, piuttosto che andare a scovare tutti gli scrittori conosciuti solo dagli autori dei libri per le scuole elementari, si può tranquillamente inventare delle storie.

Il nostro libro
È quello che vogliamo dire con questo libro: ad inventare delle storie che ci sembrano rispondere allo scopo siano riusciti perfino noi, e ai ragazzi pare che piacessero.
Di qui viene fuori questo libro, che è una specie di proposta, o almeno un documento.
Il suo scopo, però, è soprattutto quello di dare una voce a uno dei tanti gruppi di emarginati, soffocati dalla società che li ignora.
Se ognuno parlasse, invece di assumersi la responsabilità delle disgrazie sociali con l'omertà del suo silenzio, forse, a poco a poco, la società sarebbe stimolata a diventare un po' meno ingiusta.


Scuola 128, aprile-maggio 1970

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