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I laboratori della libertà - Dieci anni di laboratori del Gridas 6-7 settembre 1991

Quando abbiamo cominciato a lavorare con le scuole, o meglio con i ragazzi delle scuole, per il carnevale del 1985, ci siamo resi conto del carattere rivoluzionario dell'esperienza: fino ad allora in quella scuola i ragazzi ci erano andati solo con la testa, il resto del corpo era negato, messo fra parentesi, quando non serviva per esercitare violenze, come le punizioni corporali che forse qualche delinquente ancora esercita nella scuola. Anche la cosiddetta educazione fisica non si realizzava perché la palestra non c'era o era definita "inagibile" per comodità di qualcuno.

Abbiamo sperimentato insieme con i ragazzi che l'uso di strumenti inconsueti nella scuola, il martello, le pinze, il filo di ferro, le forbici, i pennelli, le mani per modellare incollando, era cosa da apprendere, né più né meno che il leggere e lo scrivere. Questo restituiva unità alla persona e dignità al lavoro manuale. La scuola non ci dava grande spazio, anche la nostra presenza era messa fra parentesi, tollerata o motivo di protesta da parte del corpo "non docente" che veniva distolto dal gioco alle carte e dall’eterna preparazione del caffè.

Per cui l’estate organizzammo un laboratorio di una quindicina di giorni, nella nostra sede, per dare altro spazio, libero, alla creatività dei ragazzi.
Si potè sperimentare allora quello che diceva una donna di Forcella: "dint'a munnezza ce stann'e' vitamine!" perché utilizzavamo, non avendo soldi, materiali di risulta e di scarto, per inventarci giocattoli e sculture: lattine vuote per fare i corpi, filo di ferro per mani e braccia e zampe, ritagli di latta per le penne degli uccelli o per i capelli, scarti di legno per ruote, facce ed altro. Fu un'esperienza entusiasmante. Si è ripetuta poi ogni volta che abbiamo di nuovo lavorato con i ragazzi. Un lavoro di grande rilievo pedagogico e sociale perché insegna a recuperare l'uso delle mani, la prerogativa dell'uomo, secondo il filosofo di Nola, ovviamente le mani al servizio dell'idea e della visione.

Viviamo in una società consumistica, gli altri hanno prodotto idee, monumenti, opere d'arte, ideologie, noi le consumiamo e le buttiamo, dove l'uso delle mani si va perdendo: d'altronde, se basta un dito per pigiare sui tasti del computer, che farsene di dieci? Ecco allora che se cade una vite da un tavolo, si preferisce buttare il tavolo piuttosto che ripararlo.
Quello che in termini colti si chiama riciclaggio noi lo realizziamo con l'immondizia. È incredibile, a ben guardare quante cose si trovino nei pressi dei contenitori dei rifiuti. Oggetti nuovi che al proprietario non servono più, i materiali più disparati, e più stimolanti per la fantasia.

Vuoi perché le scuole non hanno mai denari, sono in una cronica povertà, per queste attività, vuoi per risparmiare sul misero compenso che le scuole ci concedono per il nostro lavoro, ricorriamo a materiali poveri e di risulta, che non costano niente, per sperimentare come la bellezza e l'efficacia non hanno bisogno di preziosità di materiali per realizzarsi. È un'esperienza entusiasmante che ha prodotto frutti splendidi. Alla scuola elementare "Quarati", dove negli ultimi anni si sono realizzati la maggior parte dei nostri laboratori, con i ritagli di stoffe vecchie, nel 1988 si produssero un centinaio di bandiere in patchwork, da sventolare per strada in una epica marcia ecologica che vide per strada circa millecinquecento persone. Con fustini di detersivo, cartone, ritagli di pelliccia, ecc. si produssero un centinaio di maschere da indossare nel corteo. Un po' di tulle multicolore acquistato al mercatino delle pezze a Pugliano impreziosiva queste composizioni prolungandole nell'aria.

La validità del coinvolgimento dei ragazzi in questo lavoro creativo ce l'ha testimoniato Aghi Berta, un'insegnante di sostegno alla scuola media “Coppino". È la testimonianza di una bambina "difficile" che, invitata a esprimersi come avrebbe voluto che fosse la scuola, scrisse "una volta venne alla nostra scuola un signore che faceva delle maschere..." la più bella ricompensa al nostro lavoro!

Ragionando sulla validità della nostra esperienza, siamo arrivati alla conclusione che ha la stessa validità culturale, ai fini della distruzione della società classista, insegnare ai ragazzi proletari delle baracche, poi dell'Ises, poi della 167 che esistono i libri, e non solo quelli di scuola, come insegnare ai figli dei borghesi del Vomero che esistono le mani, il martello, le pinze, il filo di ferro, ecc. e non solo come strumenti di sfruttamento sul lavoro, ma come supporti creativi. E i ragazzi lo capiscono perfettamente e se ne stupiscono: abbiamo saputo dai genitori che riferivano a casa: c'è uno che lavora col legno, ma non è un falegname...

Giacché poi l'uomo è tutto intero ed è solo artificiosamente diviso per "comodità didattica" in storia, geografia, educazione tecnica, ecc. allora la validità didattica delle attività creative sta nel ricucire i frammenti dell'uomo e della cultura, per ricondurli all'unità della persona. Si riscoprirà allora, nella gioia della creazione dell'oggetto, il piacere della conoscenza, perché conoscere è imparare a fare, far emergere le proprie capacità e soddisfare il bisogno di operare.

Alla Virgilio III, prima che ci cacciassero in malo modo, pure si è lavorato con le pezze. Nel carnevale del 1986 un ragazzo si inventò una straordinaria maschera da gambero rosso con vecchie scatole di cartone da imballaggio. Fu fabbricata una splendida vela in patchwork per la nave dei folli, e ciminiere, uccelli, pesci, e perfino una petroliera da indossare nel corteo. Là c'era il problema di produrre strutture pieghevoli per non disturbare l'attività degli altri insegnanti che non condividevano i laboratori e che nelle loro ore dovevano "insegnare", per cui gli oggetti prodotti da noi, grandi strutture da usare per strada, nelle loro ore dovevano scomparire, nascoste dietro gli armadietti. Ma, come sempre, le difficoltà oggettive diventano stimolo ulteriore alla creatività, se la volontà di fare non si arrende; poi arriva il preside stronzo e non va bene neanche questo! Ma anche i "professori" non si lasciano coinvolgere e mentre i ragazzi scoprono un universo imprevisto, essi stanno in un angolo, impermeabili, a compilare le cosiddette schede di valutazione, dove si arzigogola sul niente.

La validità del coinvolgimento dei ragazzi è testimoniata dalla diapositiva scattata durante la fabbricazione del grande scarafaggio, in uno dei più ammuinati carnevali realizzati alla VIRGILIO III, dove si vede un ragazzo che, mentre stringe ancora in una mano le figurine dei giocatori, (giocare a figurine è poi la sostanza dell'insegnamento corricolare, il resto è un di più) con l'altra mano collabora alla fabbricazione dell'armatura in filo di ferro.
Una situazione emblematicamente conflittuale!
Durante i laboratori per il carnevale del 1985, per cercare di risolvere il problema degli spazi assenti si tesero dei fili di ferro fra le travi prefabbricate delle aule dove si facevano i laboratori, cui si appendevano le maschere in lavorazione.
Cambiò l'aspetto della scuola: passando per i corridoi si vedeva immediatamente la differenza fra le aule vive, dove si lavorava e le aule dove si "studiava", cioè non si stimolava niente. Alla Quarati, dopo la marcia ecologica, quando si smontarono i fili di ferro che avevano sostenuto le maschere e le bandiere e le strutture in lavorazione, perché là, come alla Virgilio III, i fili di ferro dovevano essere rimossi perché "pericolosi", un bambino commentò: "Che squallore!" La scuola era tornata al grigiore di sempre.

Ci ha sempre meravigliati l'incapacità di cogliere, da parte degli insegnanti, questo enorme impatto e stimolo che ha sui ragazzi l'esperienza creativa. Di queste esperienze eccezionali non resta nulla nella storia della scuola, a parte le nostre diapositive e invece è proprio l'esperienza eccezionale e coinvolgente che stimola i ragazzi a scrivere, motivandoli a comunicare ciò che per loro è importante. Se no, perché scrivere, per fare la "riduzione in prosa" delle invenzioni poetiche, cioè per distruggere la creazione invece che parteciparvi?

I nostri laboratori sono stati spazi di libertà aperti nel grigiore del tran-tran della scuola. Quando si lavora insieme si è uguali, non c'è più il rapporto professore alunno, ma due operatori che producono insieme.
Questo lo capiscono immediatamente i bambini. È la vita che irrompe nel mondo grigio della scuola e allora strumenti addormentati negli armadi, come l'episcopio e il proiettore di diapositive, diventano supporto al lavoro creativo, creatori di immagini, evocatori di ectoplasmi, amici. E si viene a scuola anche se si ha la febbre, perché non si vuole perdere questa eccezionale occasione.
La fatica non c'è più, soppiantata dalla gioia del fare, del creare.

È bello avere partecipato a queste esperienze: è questo che mantiene anche in noi adulti la speranza. I bambini sono materiale duttile, vivo, capace di produrre qualcosa di buono, se li si indirizza adeguatamente. Ma ci vuole un minimo di capacità di partecipazione umana, qualcosa che nessun progetto di riforma della scuola, nessun concorso di qualificazione o di abilitazione può garantire: e siamo di nuovo all'alternativa: siamo uomini o professori? La scuola, secondo noi deve essere un luogo di scambio di rapporti umani. Noi vorremmo che quelli che hanno deciso di fare gli insegnanti prendessero atto di questa realtà e che ciò che finora è stato l'eccezione diventi invece norma. Non è un di più: è l'essenziale se si vuole che la scuola dell'obbligo abbia ancora un senso in una zona di frontiera come la nostra!

La pedagogia della creatività: o la scuola è produttrice di cultura o è un'istituzione mortifera che distrugge e affossa ogni possibilità di cambiamento e ogni genere di ipotesi di società nuova e migliore.
I bambini aspettano. Siamo capaci di indirizzarli a qualcosa?

Anche qui si dovrebbe fare un bilancio di tanti anni di lavoro: non possiamo, per onestà, celebrare soltanto dei bei risultati.
Ci siamo divertiti moltissimo, certo, ma ci siamo anche rosi il fegato.
Difficoltà burocratiche, boicottaggio di quelli che pensano che realizzare un'opera d'arte sia meno dignitoso e serio che studiare, come se si studiasse solo col capo chino sui libri e non anche con le mani, guidandole al fare o seguendo il percorso di un oggetto scrivente, o ammirando immagini inconsuete.
Malumore dei bidelli perché queste attività "sporcano": essi ignorano quello che diceva Leonardo: "col sporcar si trova!". Incapacità di taluni insegnanti di uscire da certi deteriori schemi comportamentali tipici del rapporto professore-alunno: ti mando dal preside!, ti metto una nota, ti faccio sospendere, il che vuol dire, in sostanza, sono sempre io il professore, quello che ha il potere e tu l'alunno, un rapporto di potere, messo in discussione dal rapporto paritario cui tende il laboratorio, dove magari le capacità inventive e manuali dell'alunno possono essere migliori di quelle del "professore" e lo riscattano dalle umiliazioni nei corsi normali e la cosiddetta professionalità va a farsi benedire!

Ci sono anche difficoltà oggettive: il processo distruttivo della società consumistica e il malefico influsso della cattiva scuola e di insegnanti malvagi, le condizioni familiari e sociali difficili, hanno talora fatto regredire troppo qualche ragazzo e l'impatto eccezionale del laboratorio creativo non basta più a recuperarlo ad un rapporto umano! È triste, ma succede.

Trovi allora il ragazzo insensibile e impermeabile al nuovo, quasi come un professore incallito e frustrato, che sta li a sfotticchiare, che rifiuta di essere coinvolto nel lavoro in comune, o addirittura tenta di distruggere quello che si sta riuscendo a realizzare suo malgrado.

Ma le difficoltà più grandi sono venute proprio dalle strutture stesse della scuola. Noi pensiamo alla scuola, ormai lo si è capito, come ad un laboratorio. Uno spazio di vita e di libertà, dove si possa creare quello che si vuole, da un drago lungo venti metri, all'interno del quale trovi posto tutta una classe, allo schermo e le sagome per il teatro delle ombre, alla pittura, senza preoccuparsi di qualche goccia di pittura o di colla che cada per terra.
Invece presidi, direttori e insegnanti volenterosi devono inventarsi ogni giorno la scuola, a Napoli, né più né meno che i giovani disoccupati che devono inventarsi un lavoro. Inventarsi la scuola a partire dai muri e le suppellettili perché neanche quelle ci sono, rendendo difficile e frustrante qualunque lavoro.

Oggi siamo al punto che l'impiegato pubblico pagato per svolgere un lavoro, se effettivamente lo svolge, costituisce un fatto rivoluzionario.
Dove c'è un proiettore, bisogna, per usarlo, dissequestrarlo dalla stanza dei sussidi didattici, e fabbricarsi le tende per oscurare le finestre per evitare che sul muro, peraltro spesso ben lungi dall'essere bianco, che fa le veci dello schermo, compaiano solo pallide ombre.
Basterebbe, in ogni scuola, un solo locale ma adibibile stabilmente a spazio dove si possa liberamente "sporcare per trovare" !

Anche per questo ci è venuta l'idea della "Casa della Cultura", qui al centro sociale, perché questi locali abbandonati diventino una mostra-laboratorio permanente, dove si possa dipingere, incollare, disegnare, costruire, inventare, proiettare e ammirare e tenere esposti i prodotti finiti senza dover chiedere permesso né a presidi o direttori, né tanto meno a bidelli.

Noi crediamo profondamente nella necessità di soddisfare il bisogno di esprimersi, inespresso, ma latente nei nostri ragazzi, perché dall'esercizio della libertà e dalla sperimentazione dell'entusiasmo gioioso della creazione possa nascere un uomo nuovo, capace di progettare e costruire un mondo migliore in cui vivere senza più omologarsi ai modelli, alle mode e al conformismo imposti da chi vuole comandare agli altri senza sapere ascoltare i loro bisogni.
Aiutateci in questo cammino. Ne vale la pena.