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Pedagogia della creatività

A una bambina delle baracche del campo ARAR, più volte bocciata e in genere maltrattata dalle maestre, chiesi una volta: "Ma ti piace andare a scuola?" "SI!" Stupito dalla risposta, che avrei supposto negativa, gliene chiesi la ragione e lei mi rispose, candidamente, " 'A scola se sta cavere!”.

Il doposcuola nella scuola Mastriani di Poggioreale, la controscuola nella baracca n. 128 del campo Arar (adesso ci stanno costruendo le strutture del nuovo centro direzionale) poi in uno scantinato occupato abusivamente all'Ises di Secondigliano.

Partiti dall'università, dal "centro", ragionando sui mali della società, sull'emarginazione, sulla piaga del lavoro minorile a Napoli (ci sono ragazzi che a sei-sette anni vanno a lavorare in vetreria, a tredici diventano soffiatori di vetro e così via: roba da "terzo mondo"!) abbiamo accompagnato i ragazzi emarginati delle baracche dal campo Arar di Poggioreale all'Ises di Secondigliano, di periferia in periferia.

Abbiamo buttato dieci anni della nostra vita a cercare di far nascere la coscienza e l'orgoglio di classe là dove non potevano nascere, tra figli di sottoproletari, disoccupati, cartonari, pescivendoli ambulanti, macellai, ecc. combattendo su più fronti, contro una scuola che ignorava i loro problemi, una famiglia che li ignorava altrettanto, una società che li sfruttava senza riconoscergli alcun diritto.

Fallimmo, perché il compito era ingrato, ma pure producemmo cultura: il giornale scritto a più mani, tutti insieme, provocatoriamente intitolato "La zoccola", l'uso delle diapositive per capire la pittura e la geografia, l'episcopio per esaminare le immagini, prodotte dai ragazzi stessi o da altri, il teatro come riflessione sulla propria vita, il vangelo, letto in confronto con la realtà della vita, alla ricerca di un motivo non contingente per vivere e lottare, alla riscoperta delle sue radici di cultura popolare ed eversiva, la lettura del giornale con i ragazzi, dall'Unità al Manifesto a Lotta Continua, al Quotidiano dei lavoratori, alla ricerca dell'informazione vera, contro quella ufficiale, le testimonianze della vita di ogni giorno per dare un senso allo scrivere, le storie inventate là per là per fare il dettato, e migliaia di disegni con pastelli ad olio e terre colorate e collages, murali, per finire con la costruzione di una pista per "carruocioli"... un parco giochi inconsueto per i ragazzi, dove vigeva solo il gioco nella spazzatura.

Si chiuse nel 1978.

Pareva che la stagione rivoluzionaria, dal 1968 al 1978 fosse ormai sepolta: il Partito si alleava con la Madonna dell'Arco per fare un comitato di quartiere all'Ises!

Sono passati gli anni. Abbiamo avuto figli. Sono cresciuti: abbiamo dovuto fare di nuovo i conti con la scuola dell'obbligo.

Abbiamo dovuto constatare che essa era restata ferma all'800, lo stupido secolo XIX, "La quercia caduta", Dio, il fiore, la mamma, le stagioni, le bacchettate, l'ossequio alle autorità costituite, la sconfinata idiozia e pusillanimità.

Ben presto è stato lo scontro, perché le cose che per noi erano non solo scontate ma addirittura vecchie, l'uso delle diapositive, lo spazio alla creatività, là erano ancora ignorate ed interdette. Siamo stati "diffidati" per aver proiettato le diapositive delle pitture degli antichi Egizi senza prima sottoporci alla visita schermografica: pare assurdo ma è storia, del 58° circo "didattico", anno 1981!

Ma non ci siamo trovati soli questa volta e, dalla sensibilità di alcuni a questi problemi, al problema della difesa e dello sviluppo dei valori umani in questa società di merda è nato il Gridas. Gruppo risveglio dal sonno, poche persone, nemmeno tanto eccezionali, che si sono svegliate e riscosse e tentano con tutti i mezzi di svegliare gli altri. Come?

Con l'esercizio della creatività.
Una creatività elementare, fatta di niente, materiali di scarto, filo di ferro, legno usato, ruote di carrozzine per bambini, ferri trovati allo scasso o addirittura nell'immondizia. "Dint'a munnezza ce stann'e vitamine!" diceva una mamma di Forcella, anni fa.

Ci siamo indirizzati alle scuole, ma ancora una volta abbiamo trovato che c'è un muro da abbattere per eliminare la separazione fra la scuola e la società circostante; c'è l'ottusità e il non volersi compromettere di alcuni maestri, i più, ma anche di parecchi genitori.

D'altra parte chi gli ha mai spiegato che potrebbero aspettarsi qualcos'altro dall'istituzione scolastica?

Ma dove siamo riusciti a fare qualcosa, alla scuola di S. Arpino, grazie agli animatori del comune, ai maestri e al direttore, alla scuola di Succivo, grazie all'assessore alla pubblica istruzione, alla scuola di Frattaminore, grazie ad alcuni maestri, nonostante il direttore, e perfino al 58° circolo, grazie ad alcuni maestri, nonostante l'opposizione dei DC e degli imbecilli, abbiamo prodotto delle cose splendide, che ci hanno ampiamente ripagati del lavoro impegnato e di tanti tentativi andati a vuoto.

Che significa per i ragazzi fare un murale?

Significa dare un'opportunità concreta alle loro potenzialità creative, troppo spesso mortificate e invece una volta tanto ampliate a dismisura, senza limitazioni di spazio.

Significa sperimentare che la pittura, il disegno e la riflessione cui essi danno la stura sono un fatto piacevole, bello, ed efficace per comunicare e che quindi la scuola è buona se fa cultura, cioè se è ancorata alla vita.

Significa testimoniare nei fatti che la scuola, il luogo dove vanno ogni giorno "a studiare" appartiene a loro e quindi le istituzioni, i beni pubblici sono affidati alla coscienza e alla responsabilità di tutti e questo significa che sono bene "pubblico" e se tutti ne avessero coscienza servirebbero da stimolo alla vita invece che assomigliare a tante tombe.

Significa entrare nella storia e demolire lo sterile culto dei "grandi personaggi" della pittura, come della società in genere. Giotto, Leonardo, Michelangelo, ma anche Napoleone, Garibaldi ecc., tanto più distanziati dalle masse nella pseudocultura scolastica quanto più si vuole soffocare la dignità del popolo: il culto dei santi per impedire al povero di santificarsi, il culto dei geni per negare la genialità dell'uomo comune!

Significa andare a scuola, per una volta, perché si va a fare qualcosa di bello e non solo perché ce li mandano e se no le buscano né perché a scuola c'è il riscaldamento che a casa non c'è.

Il discorso può ampliarsi all'esperienza dei laboratori.

Fare le maschere, costruirsi i giocattoli con materiali che non costano niente significa riscoprire le capacità creative del lavoro umano, sperimentare una diversa pedagogia che usa strumenti inconsueti: le pinze, le tenaglie, i chiodi, le seghe, il martello, il succhiello, strumenti che bisogna imparare ad usare, se non ci si vuole ciaccare le mani, e questo fa capire che il lavoro manuale deve essere appreso, proprio come il leggere e lo scrivere, e gli restituisce dignità. Si impara che c'è uno spreco enorme nella nostra società e che non è vero che il giocattolo più bello sia quello comprato; che dentro ogni oggetto informe si cela una forma significante, come diceva Michelangelo e "col sporcar si trova" come diceva Leonardo e si tratta di educale l’occhio a vedere e la mano a seguire il pensiero e il giudizio a valutare. Ed ecco allora che i "grandi" non sono mica rifiutati ma messi al loro posto, compagni di strada da seguire, non vati o semidei da venerare senza alcun costrutto, e si scopre che lavorare insieme è bello perché associa e fa star bene e potenzia le capacità inventive di ciascuno esaltando tutti.
La pedagogia della manualità!

Con gli adulti il discorso ha un po' meno presa.
Se si dipinge sui muri per le strade, rare volte capita che una persona adulta dia una mano: sono i bambini i più entusiasti; i grandi preferiscono stare a guardare, commentano, si sforzano di trovare significati reconditi dove non ce ne sono, stanno in attesa di vedere "come va a finire", si imbarcano in lunghe discussioni sulla liceità di dipingere sui muri pubblici, riscoprendo una inconfessata attitudine repressiva, ma anche questo è segno di turbamento e quindi è positivo.

Ma se per propagandare un discorso sulla pace ci si serve di un televisore di compensato, con dentro un rullo di tela dipinta, che si spiega quadro per quadro alla maniera dei cantastorie, con la musica a segnare gli intervalli e qualche canzonetta in cui si esprime quello che si pensa dei manigoldi che ci governano, allora anche gli adulti che sembrano strafottenti stanno a sentire, i testi delle canzonette vanno a ruba, specie se sono gratis, perché la cosa è inconsueta e diverte, oltre che dire delle cose giuste.

Ai dibattiti sulle questioni di attualità, il Nicaragua, l'apartheid, l'obiezione di coscienza, ecc., pochi vengono: riemerge ancora la difficoltà di esporsi in prima persona, al chiuso, andare là a sentire è uno sforzo troppo grande per chi tende al sonno.

Ma restano i manifesti sui muri del rione, a testimoniare che di certe cose c'è qualcuno che parla ancora, che c'è la possibilità di non affossarsi completamente nella poltrona davanti al televisore e che forse, chi sa, alla prossima occasione ci si potrà anche andare.

Noi non abbiamo scoperto niente di nuovo: vi rimandiamo alla bibliografia per quanto riguarda le "tecniche" che usiamo. La linoleografia, il disegno, la cartapesta, sono mezzi di espressione spiegati in ogni testo di "educazione artistica", gli strumenti da lavoro che qualunque negozio di ferramenta vende, sono cose scontate: quello che noi abbiamo scoperto è la possibilità di liberarne e usare a vantaggio di tutti, le potenzialità creative, per cui talvolta basta mutarne la destinazione, o ampliare le dimensioni o mutare semplicemente l'ambito di fruizione.

Ecco allora che se il seghetto ad arco viene usato per produrre torri Eiffel in serie o altre insulsaggini "a traforo" è come rimetterlo nell'armadio, ma se serve per disegnare sul compensato e produrre sagome, diventa un'arma di lotta!

Se si usa la linoleografia su pezzetti di linoleum per riprodurre disegnini da appendere poi nella propria stanza (e nemmeno questo si fa nelle scuole!) è un conto, ma se il formato aumenta alle dimensioni di un manifesto di 70x100 cm., allora il prodotto finito si farà notare sui muri, anche se avrà la sfortuna di dover competere con gli enormi cartelloni pubblicitari: ecco allora che fra un enorme dolcissimo seno color albicocca e le belle natiche accarezzate dalla mutandina Roberta la faccia di Sandino potrà avere spazio e rivolgere un appello al passante meno frettoloso.

Linoleografie originali azzeccate con la colla ai muri come manifesti politici: l'incisività dell'incisione serve a rendere efficace perché inconsueto il messaggio visivo, l’arte si riscatta dall'alienazione riacquistando una validità sociale, il passante è più o meno inconsciamente spinto a stabilire un confronto fra le diverse qualità di immagini, ricevendone un apporto culturale.

La cartapesta, usata un tempo per fare le statue dei santi, ora di nuovo in auge per fare maschere raffinate, usata all'ingrosso, può servire a produrre strutture di grandi dimensioni che raggiungano le finestre delle case e come allora non essere coinvolti dal faccione che fa capolino dalla finestra della cucina? Così il carnevale invita ad uscire di casa, non è più un fatto privato.

Abbiamo verificato che in tutte le scuole che abbiamo visitato, dove il disegno e le capacità creative dei ragazzi erano mortificati nella produzione di brutte copie di quadri o nell'esecuzioni di temi insignificanti perché privi di utilità, di derivazione dal concetto accademico ottocentesco (ancora lo stupido secolo XIX!) di pittura da cavalletto, gli strumenti per la linoleografia, per la serigrafia, per la ceramica, c'erano, ma ben custoditi negli armadi dei "sussidi" e ignorati.

Così si nascondono ai ragazzi i mezzi per esprimersi invece che insegnargli a usarli: li si tiene lontani dalla cultura, dalla produzione culturale, mortificandone le intelligenze, invece di stimolarli a pensare.

Proprio come le chiese che affogano e seppelliscono sotto un mare di stanchi riti e burocratismi il messaggio di Gesù: la fiaccola sotto la madia, e il sale diventa sciapito!
Basta invece mettere in pratica la parola e la validità del messaggio torna a stupire, per la sua novità, oggi come allora, con una vitalità capace di risvegliare i morti dal loro sonno.

Ci è capitato di riscoprire, mentre dipingevamo i nostri murales, partendo da un'analisi di tipo marxista, di classe, che in fondo stavamo solo illustrando in figure il messaggio cristiano.

Ma anche qui c'è un fatto rivoluzionario perché non è più l'affresco medioevale coll'immagine del giudizio universale per terrorizzare i poveri (dopo una vita di stenti toccherà andare anche all'inferno! lo stravolgimento del messaggio fatto dal potere) ma è l'utopia degli ultimi che si fa coscienza e si propone come meta della costruzione di un mondo nuovo, raffigurato sul muro per tenerlo sempre presente, per dire non solo è possibile, ma vogliamo andare in questa direzione e questo è l'autentico messaggio di Gesù restituito ai suoi destinatari, quelli che non contano, per diventare la molla che li spinge, la fonte d'acqua zampillante. E non c'è Wojtila che tenga!

La questione di fondo nel mondo attuale è la difesa dei valori umani.

Troppo spesso anche ad ideologie giuste, intellettualmente professate, si accompagnano comportamenti opposti, reazionari, maschilisti, fascisti: è la bestia del potere che è in noi e se è ufficialmente combattuta a livello pubblico, spesso riemerge nel privato.

Ma dove si trova chi ha la spudoratezza di mettere in pratica quello che pensa, la cosa non finisce di stupire: è la testimonianza di un uomo libero.
È questo che va salvato.

È la capacità di stupirsi che contraddistingue l'uomo vivo. Essa è alla base della curiosità e quindi della scienza: entusiasma i ragazzi facendo sentire una loro conquista la scoperta della verità e stampandola indelebilmente nella loro mente. Strappa alla strafottenza gli adulti, interessandoli, anche se per poco, al discorso indirizzato a loro. Chi sa che, ripetendosi il fatto nel tempo questo interesse temporaneo non diventi un impegno di vita?

È la creatività, la capacità di vedere i lati nascosti delle cose, rivoltare la realtà, dare concretezza di vita vissuta, almeno di immagini tangibili, ai sogni e alle utopie, alla base, attraverso lo stupore, della possibilità di rivolgere di nuovo un discorso da uomo a uomo.

Noi crediamo in questa pedagogia della creatività, per svegliarci dal sonno, nella coscienza che chi non è più capace di stupirsi è ormai morto.

Pedagogia della creatività