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Secondigliano, Napoli: i giullari della cultura

Conobbi Secondigliano nel 1960/perché ci abitava
Mimi Silvestro,/allora studente,/artigianalmente
architetto,/un'architettura manuale e "carnale",
poi partito/per le lontane Americhe,
dove pare che insegni/ora
all'università di Caracas./alla Escuela/
de designio industrial./Prima di partire
pare abbia detto:/"Sulla mia tomba scriverete:
qui giace Mimi Silvestro,/nato a Secondigliano...
...e muort'o'Tanganica!"

Allora a Secondigliano c'erano ancora le rotaie del tram, ora non più, ma pare che ci arriverà la metropolitana, un giorno.
Secondigliano giace a Nord Ovest di Napoli.
Un tempo sobborgo e zona residenziale di campagna, ora è un immane ammasso di case che confina con la circonvallazione esterna o "strada americana", Melito, Arzano, S. Pietro a Patierno, Casavatore, Capodichino, ecc.

Non ci scorrono fiumi e pare estranea alla cultura dell'acqua, nonostante le promesse-progetti di una moltitudine di piscine, fatti in epoca di prima ricostruzione post terremoto del 1980, il "dopo sisma".
Ci si arriva, da Capodichino, per il Corso Secondigliano, una lunga strada percorsa da filobus, autobus, tranvie provinciali e un fiume ininterrotto di veicoli a propulsione meccanica, animale e umana, a quasi tutte le ore del giorno e della notte. Nell'ambito di un mare di case, eterogenee, alcune di costruzione ottocentesca, ancora con cancelli trasparenti e bei giardini, che si possono ammirare lungo il corso, altre ce ne sono, di recentissimo e squallido assemblaggio: scatolette sovrapposte, per imballare famiglie da sempre aspiranti alla casa: il piano dei 28.000 alloggi.

Il Corso diventa via Roma verso Scampia, poi via Appia, per dove, volendo, si può arrivare pure a Roma, passando per Capua.

Nell'ambito di questa realtà eterogenea, fatta di case antiche, un tempo distanziate nei campi e poi sempre più infittite da più o meno dissennati interventi costruttivi pubblici e privati, ci sono realtà diverse: le case popolari di edilizia economica, che hanno creato altrettanti rioni più ristretti e con una qualche unità di rapporti umani e di vicinato: il rione Berlingieri, il rione Kennedy, l'Ina Casa, fino alla "167", un'enorme concentrazione di palazzoni che sembrano costruiti programmando la calcolata esclusione di ogni dimensione umana e perciò hanno fornito la scenografia per film come "Le occasioni di Rosa" facendo conoscere la zona anche all'estero, cioè al resto d'Italia.

Ad evitare che residue speranze di evasione dal ghetto possano sopravvivere negli abitanti, il potere sta realizzando, di fronte al rione, la costruzione di un enorme carcere, immagine emblematica di come chi sta in alto pensa di rispondere ai problemi di chi sta in basso.

Il GRIDAS ha sede nell’ex centro sociale dell’Ina Casa, via Monte Rosa 90/b.

L’Ina Casa costituisce un microcosmo dove progettualmente si voleva conservare una dimensione umana, il piano C.E.P. del 1958-59, quando si scoprì che i rioni popolari non dovevano essere solo dormitori e si progettavano insieme con le case anche strutture di aggregazione, centri sociali polifunzionali. Le case sono progettate per bene, a quattro piani, in genere, distanziate da spazi verdi, pinetine, porticati: un bell’ambiente, nelle intenzioni, anche se poi i gas di scarico e il cemento soffocano gli alberi che agonizzano uno ad uno, e l'incuria, l'assenza di manutenzione tendono a far diventare immondezzai le pinete e gli spazi in eterna attesa di idonea sistemazione.

È un rione di montagna: i nomi delle strade sono tutti di montagne, via Monte Rosa, via del Cervino, via Monte S. Gabriele, via del Gran Sasso, ecc. a differenza del rione Berlingieri dove invece le strade hanno nomi di stelle e costellazioni, via Abadir, via dello Zodiaco, via Aldebaran, ecc. ed è quindi un rione astronomico.

Il centro sociale è una struttura a due piani, tutta rigorosamente grigia, dove un tempo si tentò con alterne sorti di combattere l'ignoranza, senza molto costrutto e senza apprezzabili risultati, a cura prima dell'ISSCAL (Istituto Servizi Sociali per le Case dei Lavoratori), poi dell'UNLA (Unione Nazionale Lotta all'Analfabetismo: "non solo che siamo analfabeti, quando che ci fanno anche la lotta!") perfino con il funzionamento di una biblioteca, assistenti sociali, cineforum, ecc. poi l'impresa è stata ritenuta disperata e la struttura abbandonata a se stessa finì per smembrarsi: un pezzo fu occupato da un asilo comunale, un altro è servito ad insediarvi un microscopico ufficio postale, un bel pezzo se l'è preso la polisportiva Ina Casa, un altro il circolo pensionati ITALIA; una stanza all'interno del piano terreno è occupata dal Sunia, un'altra dai superstiti del Comitato Assegnatari.
Poi c'è un salone che serve per le assemblee condominiali ed è l'unico locale gratuitamente disponibile per riunioni e assemblee, occasione più unica che rara in un rione popolare.
Il piano di sopra, ceduto, dall'IACP al Comune per insediarvi un "presidio sanitario", restaurato e attrezzato, ospita ormai varie famiglie di senzatetto, dal 1980, sempre il sisma: una famiglia per stanza, in condizioni penose.

Nel salone mise un piede, nel settembre 1981 il Gridas, poi ci ha messo anche le mani, dipingendo le pareti, rendendo più civile il locale e i servizi igienici e stabilendovi la sua sede. Si riunisce là due volte la settimana e utilizza il locale per laboratori, dibattiti, proiezioni, mostre, senza impedire altri tipi di riunioni, anzi spesso essendone sacrificato.

Nel rione sono presenti: una sede del PCI, ormai storica, un circolo operai cattolici SS. Pietro e Paolo; un po' fuori mano, sulla via Appia, una sede della DC, dove ci sono anche i flippers, con due succursali: la polisportiva e una nuova fiammante sede del centro sportivo LIBERTAS: tutti posti dove si gioca accanitamente a carte, oltre che nel circolo pensionati Italia.

C'è una parrocchia, emblematicamente intitolata alla Resurrezione, che radio e teletrasmette vite di santi, messe, prediche e propaganda DC, oltre alla registrazione dei principali eventi del rione e notiziari minimi su rullo di carta: chi si è battezzato, chi è morto, chi si sposa, chi ha problemi, ecc. La parrocchia iniziò qualche anno fa un "progetto arcobaleno" per cercare di porre rimedio almeno all'emarginazione di handicappati e anziani. Fa scuola serale, catechismo, ospita suore impegnate, obiettori in servizio civile, senza recepirne troppo la testimonianza. Ha ampi spazi per il teatro e lo sport, altri ne ha affittati alle Adi, affitta il suolo sportivo per parcheggi macchine notturno, è sensibile agli enormi problemi posti dai Nuovi insediamenti della "167", cerca strenuamente di difendere la fede ortodossa dei bigotti e di non turbare le coscienze, come se Cristo fosse stato un ipnotizzatore.

Poi c'è una chiesa evangelica pentecostale, di cui per la verità poco sappiamo, ma dove pare che l'ipnotizzazione delle coscienze assuma toni apocalittici.

Ci sono una quantità di negozi fissi, bancarelle ambulanti e venditori di frutta e verdura ambulanti ma ormai quotidianamente impiantati ciascuno sul suo pezzo di strada, e perfino una salumeria sulla pubblica piazza, che la sera si chiude e diventa un casotto di ferro ermeticamente chiuso.
Strutture spontanee che tengono il posto di un mercatino rionale desiderato per anni, poi finalmente appaltato e costruito, ormai ultimato da altrettanti anni ma non ancora aperto perché non si è ancora risolta la questione politico-clientelare della assegnazione dei punti di vendita.

Nell'ampio scantinato avrà sede un più decente ufficio postale e uno spazio per attività culturali, almeno previsto programmaticamente, ma chi sa quando e se realizzabile, essendo la cultura considerata un lusso o un fatto sospetto e dovendosi risolvere il problema: "chi dovrebbe gestirlo, poi?"

Ci sono scuole: un asilo comunale e un asilo statale che ogni anno allestiscono una graduatoria per scegliere fra le richieste di iscrizione la metà da soddisfare. L'asilo statale sta per metà in una nuova sede e per metà nel refettorio della scuola elementare, dal 1980, quando furono occupati dai terremotati i padiglioni prefabbricati che sono ancora adesso la casa per parecchi senzatetto.
C'è una scuola elementare, il 58° circolo, in due plessi: la scuola "Kennedy", funzionante a doppio turno, e la scuola Ises, occupata per quattro anni da senzatetto, liberata finalmente, da un anno, grazie alla lotta dei genitori e di tutte le componenti della scuola ma non ancora riattata e quindi sprecata.
C'è una scuola media, "Virgilio", spezzettata in due sedi.
Dell'esistenza delle scuole ci si può rendere conto dal flusso di ragazzini e genitori accompagnatori in senso opposto, all'entrata e all'uscita, ma è un fatto che riguarda i piccoli e i loro genitori per una certa fetta della loro vita. Per il resto è come se non esistessero.
Ai margini del rione c'è qualche scuola superiore: l'IPSIA di Miano, l'XI liceo scientifico di Piscinola, l'A. Volta.

Superata l'età scolastica ci si può dedicare al gioco delle carte nelle sedi dei vari partiti o ai flippers nella polisportiva o alla Libertas o alla DC o semplicemente parcheggiarsi lungo la strada a chiacchierare su chi passa.
La sera si può amoreggiare nelle pinetine o riunirsi a fare della musica insieme, o sperimentare la droga nei luoghi più discretamente bui. Il commercio della "roba" fornisce la possibilità di acquistare automobili di grossa cilindrata, BMW, Rover, Jaguar, Mercedes, da ostentare poi per le strade, indossando occhiali da sole anche di notte.
C'è chi va all'università, ma allora scompare dal rione, in genere, ed è visibile solo in rare occasioni.

Poi c'è tanta immondizia, che straripa quasi sempre dai contenitori, cui dà fuoco ogni tanto qualche bello spirito, ma che serve anche come centro di traffici e scambi più o meno palesi. Il farmacista ammonticchia sui marciapiedi comuni cartoni di imballaggio di medicinali e articoli vari, poi passa il cartonaro che li raccoglie accuratamente e va a venderli al macero, svolgendo così un'utile funzione pubblica, che supplisce all'inefficienza della N.U., oltre a poter così sbarcare il lunario: è così utile a se stesso ma anche alla collettività, come direbbe il Brecht.

Presso i contenitori dell'immondizia si trovano depositati anche oggetti i più strani, mobili, specchi, poltrone, materassi, bauli, che chi usava ritiene non più utili a sé, a differenza di chi passa e ci scopre una diversa possibilità di utilizzazione appropriandosene. In alcuni periodi, come per la festa di S. Antonio abate, o il periodo delle bottiglie di salsa di pomodoro, si saccheggiano i cumuli di immondizia per raccogliere legna per i falò, che vengono poi accesi dove si è accatastato il legno.

L'Ises costituisce un po' una sacca a parte, dove non ci sono negozi e la gente si è inventata dei negozi domestici, dove la merce acquistata nel rione viene rivenduta con l'aumento di poche lire, per il guadagno, permettendo così ai bambini piccoli e alle madri in pigiama e vestaglia di fare la spesa senza uscire fuori dal minirione.
C'è perfino una specie di cimitero: una cappellina per ricordare uno zingaro morto sul posto durante un'esibizione acrobatica sulla moto.
Gli zingari vengono periodicamente ad accamparsi ai bordi della 167 e sono un'altra presenza saltuaria nel rione.
La Madonna dell'Arco è stata onorata dai suoi devoti con l'erezione di una cappellina, all'Ises, ma altre ce ne sono nella "167", e ogni domenica o quasi essi percorrono le strade, con o senza la banda, vestiti di bianco, con fasce rosse o blu, con o senza le scarpe.

Il lavoro vede i più "sistemati" fare i pendolari dalla periferia al centro, in macchina o con i pullman, 137, 111, o CTP, altri si sono arrangiati botteghe artigiane in baracche di lamiera di ferro, o in costruzioni di cemento lungo la via Appia, approntate dal Comune dopo il sisma.
C’è anche qualche fabbrica, la Bartoletti, la Leo Lamp, fabbriche di scarpe ed indumenti.
Parecchi giovani, dopo essere stati per anni disoccupati, organizzati e non, essersi fatti una cultura in materia di concorsi di ogni tipo, aver esercitato vari mestieri più o meno inventati, sono stati costretti ad emigrare, perché il meno desiderato posto a concorso gli è toccato in sorte a Milano, o a Trento, comunque all'estero, dove affogano la nostalgia nell'attesa delle vacanze o delle licenze elettorali.
Poi c'è il lavoro nero: se si deve cambiare una ruota chi si occupa della riparazione della bucatura è quasi sempre un ragazzetto di 10-11 anni, e la stessa età ha il garzone del barbiere, del salumiere, del carrozziere, del marmittaro, dell'elettrauto, del ferramenta, dei generi diversi, ecc.
Nelle case invece si arrotondano le entrate con snervanti lavori a domicilio che vanno dalla cucitura di guanti già tagliati al montaggio di interruttori elettrici e componentistica elettronica, alla fabbricazione di fiori finti, al montaggio di borse e scarpe, con i famigerati collanti, alla cucitura di pantaloni, cravatte e altri indumenti: un lavoro che si prende per impiegare "utilmente" il tempo libero e diviene ben presto una ossessione oltre che un rischio per la salute propria e altrui, che non lascia più tempo per niente.

Così trascorre la vita un po' addormentata nel nostro rione. Ci si conosce quasi tutti e ci si arrampica sulla scala sociale, secondo i canoni di un lento, ma inesorabile imborghesimento, che intorpidisce le coscienze.

Le case, un tempo in affitto dell'Ina Casa, occupate talvolta, dopo un'attesa di anni, con lotte epiche, sono diventate a riscatto e quindi di proprietà e quindi subaffittate e ora ci abitano non solo operai, ma anche professionisti e mano a mano avanzano attorno ad esse recinzioni sempre più robuste, in ferro sempre più doppio, a intimidire i ladri, i drogati, i diversi. Ogni porta, superati i cancelli, ha almeno due serrature e le riunioni condominiali durano ore, per la suddivisione degli spazi comuni, l'adeguamento alla normativa sul riscaldamento, le contestazioni agli amministratori.

Un tempo, i tempi eroici, la chiesa, prima dell'inaugurazione della nuova sede a piramide, era ospitata in uno scantinato-garage, ed era segno di contraddizione; i preti abitavano un appartamento come gli altri e sembravano uomini, la gente nello scantinato sentiva il Cristo uno di loro.
La parrocchia scelse di rifiutare un campanile alto 15 metri, a vantaggio di locali e spazi da destinare ad attività sociali, decisione contestata dal Partito che in un volantino difendeva invece il campanile: "che chiesa è senza campanile?" ma in realtà era geloso dell'invadenza cattolica.
Poi la sistemazione nella nuova sede ha portato a distanziare il prete dal popolo, tramite un amplificatore, poi ancora di più tramite la radio e la televisione e lo spirito si è spento. Restano, dei tempi buoni, le pitture sui vetri del salone adibito a teatro, per un breve tempo sede della chiesa, dove si scelse di illustrare brani e interpretazioni della bibbia che additavano la via verso la resurrezione, partendo dal basso e dalla coscienza che Dio è nel popolo, con i poveri.

Il Partito (parliamo ovviamente del PCI) ha ancora un buon 45 di voti, ma non ha più lo spirito e sta regredendo inesorabilmente.
Dopo i tempi eroici in cui guidava le lotte per la casa, per una vita con pieni diritti, ha ritenuto di fossilizzarsi nell'istituzionalizzazione della protesta, ma mentre un tempo essere del partito era già di per sé un segno di contraddizione e i membri erano più o meno palesemente inquisiti dalle cosiddette assistenti sociali (in realtà un'organizzazione di spionaggio e controllo politico al servizio del potere) ora assomiglia stranamente a una chiesa, con i suoi riti, i grandi comizi e i periodici attacchinaggi, le sue scomuniche, la sua indifferenza tranquilla, che diventa troppo spesso acquiescenza al sistema.

La DC, con rispetto parlando, più che altro è una grande agenzia di distribuzione di carta stampata, squallidi manifesti e lettere stampate in cui si ammannisce agli "amici" un uso sistematico della menzogna in funzione sempre e solo di propaganda elettorale, secondo il buon esempio fascista.

C'è pure una curiosa lottizzazione degli organi collegiali delle scuole: da anni la scuola elementare alla DC, la scuola media al PCI, che dissolve anche questa occasione di sperimentazione della democrazia senza minimamente influire sui rapporti scuola-territorio ignorati da entrambi gli alleati.
Durante le elezioni piovono sui muri del rione montagne di manifesti anche di altri partiti, ma, ricoperti poi, subito dopo le elezioni, dai lenzuoli pubblicitari, se ne perde la memoria.

All’inizio la gente imparò ad organizzarsi per vedersi riconoscere i propri diritti e costituì un agguerrito comitato di quartiere che lottò a lungo riuscendo ad ottenere importanti conquiste, di cui è memoria la sede medesima del comitato attuale nel centro sociale.
Poi, da un lato il progressivo passaggio da occupante eroico a inquilino-proprietario a riscatto con il parallelo imborghesimento perbenistico e dall'altro il furbesco intervento del potere che ha sostituito ai comitati, organismi democratici di base, i consigli di quartiere, con tutte le lottizzazioni partitiche della "partecipazione" politica, ha portato a "governare" la circoscrizione squallidi arrivisti che passano il loro tempo a imbastire alleanze transitorie e mutevoli, amplificano i grandi risultati ottenuti, come la palettatura dei marciapiedi (!) e simili in funzione di propaganda partitica, sono incapaci di scelte ma presenziano a tutte le manifestazioni pubbliche dovendo dimostrare di esistere, ma non sono che i responsabili principali del fatto che tutto va in malora, dalla rimozione dei rifiuti alla sistemazione degli spazi pubblici, dalla manutenzione delle scuole alla possibilità di incentivare la cultura, dalla soluzione dei problemi spiccioli alla possibilità di una qualche programmazione.

A parola sono tutti contro la droga, questo mostro senza volto che ingoia i nostri giovani, ma a uno sguardo più attento si scopre che uno è ammanigliato con la camorra, e la camorra si basa sul traffico della droga, l'altro si oppone alla droga solo per perbenismo ed è proprio questo che spinge i giovani a drogarsi; l'altro parla a vanvera scoprendo un pauroso vuoto interiore e allora sono inutili le cancellate e le recinzioni per tenere fuori il drogato perché per combattere la droga bisogna prima contrastare il nulla nelle coscienze e allora la protesta invece che rifiuto della vita tornerà ad essere molla e spinta alla lotta per una società diversa.

Questo è l'ambiente, il luogo geografico, il panorama umano. Un panorama, forse, un po' sconfortante.
Ecco perché ci siamo chiamati Gridas, Gruppo Risveglio Dal Sonno. Un luogo aperto, dove sia possibile ancora parlare non più per tagliare i panni addosso al prossimo, ma per gettare uno sguardo oltre l'orizzonte, perché ci sia qualcuno che testimoni una presenza diversa, con i manifesti sui muri, oltre quella della pubblicità, partitica e non, che usi i muri stessi per dire che c'è ancora e sempre la possibilità di lottare e impegnarsi, sperimentare che non è necessario avere la tessera di un partito per avere il diritto di parlare, nella società attuale.

Questa è una cosa cui teniamo molto: l'indipendenza politica dai partiti.
Ce la stiamo difendendo contro tutti: quelli di sinistra che, avendo capito che ciò che diciamo è giusto e avrebbero dovuto dirlo loro, hanno cercato a più riprese di fagocitarci o di metterci il loro cappello; quelli della DC che, essendo costituzionalmente contro ogni cosa viva hanno tentato di farci tacere, perfino sottraendoci la sede con la scusa di trasferirvi la sede dell'ufficio postale, e ad ogni nostra proposta reagiscono inventandone una loro di segno opposto, per farci rientrare nel gioco delle lottizzazioni.

Ma il rischio più grosso è il muro dell'indifferenza: è questo un muro che non si può dipingere: bisogna abbatterlo. Qualche breccia già l'abbiamo prodotta: perfino "Il Mattino", il maggior giornale del Mezzogiorno, ancorché democristiano, si è accorto di noi. Giacché allargando lo sguardo a tutta la città non ci vuole molto a scoprire che siamo gli unici a fare quello che facciamo.
Già, è il riflusso!
Ma, dato che non è colpa nostra se ci è capitato di vivere in un decennio scadente, proviamo a sperimentare se nella società attuale c'è ancora spazio per la testimonianza di uomini liberi.

Così andiamo avanti con la gioia che dà il poter fare quello che si crede, senza mediazioni né mercanteggiamenti e se questo significa essere tagliati fuori da ogni finanziamento pubblico, sperimentiamo i mezzi più poveri che ci permettano di sopravvivere senza dover rinunciare.
La povertà di mezzi diventa allora stimolo alla creatività, una creatività che è connaturata ai napoletani e fondamentale per sopravvivere tout court, dovendosi ogni giorno il napoletano inventare finanche un lavoro.
Il risultato è la soddisfazione di sperimentare la libertà, è la piacevolezza dell'esercizio della parola libera: siamo i giullari della cultura.

Secondigliano, Napoli: i giullari della cultura