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La cultura della pace

28 - 30 aprile e 3 - 5 - 7 - 10 - 11 maggio 1999.
Murales all’ITIS “Galileo Ferraris” Scampìa (Napoli). La cultura della pace.


Il testo illustrativo scritto da Felice è stato pubblicato nel libro "Sulle tracce di Felice Pignataro" accompagnato dalle foto del mural realizzate da Francesco Di Martino il 14 novembre 2009.


Testo illustrativo






I MURALES ALL'ITIS "GALILEO FERRARIS" DI SCAMPIA - NAPOLI
12 aprile - 11 maggio 1999

La vicenda dei murales è cominciata con un incontro di conoscenza e progettazione il 12 aprile, con proiezione di diapositive di altri murales del Gridas, allo scopo di chiarire di che cosa si trattasse. Non c'è stata una grande partecipazione di studenti, ma, in compenso, c'erano alcune madri del quartiere, il che incoraggiava nel proposito di integrazione fra scuola e territorio.
Si voleva far prendere coscienza ai presenti delle potenzialità della pittura murale e progettare insieme che cosa rappresentare sui muri, i pannelli in muratura fra le vetrate, nel secondo atrio della scuola.

Traendo spunto dalla situazione contingente dell'assurda guerra di sterminio in Iugoslavia si è deciso di allargare il discorso alla alternativa fra guerra-inciviltà (i disastri della guerra, come diceva Goya) e l'utopia della pace e, nei pannelli centrali, il meccanismo di trasformazione degli impulsi alla violenza in capacità di cooperazione e costruzione della fratelanza. Si è individuata l'immagine di una tavola rotonda di discussione e progettazione dell'uomo nuovo, attorno a cui siedono i rappresentanti dei popoli del mondo.
Il giorno dopo si è messo mano alla pittura.
Il numero degli alunni si è ulteriormente assottigliato, in compenso è cresciuto quello degli esterni-madri e figli.
Steso un fissativo acrilico sui pannelli murari si è proceduto con la pittura lavabile stesa a pennello. L'uso di pittura e pennelli pare che sia stato alla base dello scarso interesse dei ragazzi perché oggi la tendenza dominante è la realizzazione dei cosiddetti "graffiti" realizzati con le bombolette di pittura a spray.

Il discorso svolto sulle pareti a sinistra entrando nell'atrio è una sorta di storia della guerra: l'evoluzione della violenza da quella individuale a quella di massa, dalle armi artigianali primitive a quelle ipertecnologiche attuali. Dalla pietra a punta ai missili "intelligenti", dal corpo a corpo alla guerra a distanza, impersonale, mistificante, menzognera nelle immagini disinfettate della tv che nascondono la realtà di immani massacri.
Trovano così posto sul muro le immagini dei protagonisti di questa progressione: dall'antico uomo intento a sfaccettare una selce per renderla tagliente, all'altro che usa la fionda, e poi l'arco e le frecce e poi il fucile, fino ai soldati dei nostri giorni armati di mitra, una figura intermedia fra soldati e robot e l'immagine finale di un improbabile robot pronto a schiacciare il bottone di una macchina mortale che sembra una comune radiolina.
Il paesaggio allude alle rovine di un campo di battaglia, sparso di ossa e rottami, da quelle animali a quelle umane, e all'orizzonte si va in progressione da un villaggio preistorico di palafitte ai castelli fortificati alle case distrutte dalle nuove armi impersonali, rovine di case "civili".
È questo un pannello ad angolo di circa sette metri per due di altezza.

Il pannello successivo illustra il meccanismo della guerra: un signore in frac e cilindro blu e pantaloni a strisce bianche e rosse (allusione allo zio Sam, ma anche in genere ai paesi capitalisti) vende armi sofisticate ad una folla di pezzenti, invece del pane. È il meccanismo della corsa agli armamenti perseguita da parechi paesi che invece che al benessere sociale destinano una parte considerevole dei loro bilanci all'acquisto di armi, affamando il popolo.
Alle spalle del venditore grattacieli, sullo sfondo degli acquirenti il panorama di una bidonville.

Nel pannello successivo è illustrato un parallelo fra un cavaliere medievale e un carro armato, macchine da guerra di secoli distanti, ma accomunate dallo stesso sperpero di denaro. È per questo che il corpo del guerriero è composto di banconote invece che rivestito di un'armatura: la rendita del cavaliere antico era in buona parte spesa per procurarsi le attrezzature per la guerra, come avviene per i panzer moderni.

Sul pannello successivo l'immagine di uno scheletro che brandisce una falce su un cavallo altrettanto scheletrito cavalca sopra le rovine di una città in fiamme, mentre nel cielo grigio aleggia una nuvola viola. Riassunto dei disastri della guerra.

Nella scena successiva i denari aleggiano fra l'immagine di un caccia bombardiere e quella di un carro armato. I costi della guerra.

Nei pannelli d'angolo in fondo a sinistra un grande televisore su cui si intravedono tracce luminose su uno sfondo verdastro (le immagni diffuse dalla CNN durante la guerra del Golfo, che continua tuttora anche se ormai senza neanche più quelle immagini) cerca di nascondere la realtà del massacro rappresentato al di fuori dello schermo da montagne di teschi, rovine, incendi, morte e distruzione. Il guerriero massacratore contemporaneo non guarda più da vicino il volto della sua vittima e non ha percezione delle distruzioni operate, a parte le fuggevoli, asettiche immagini sugli strumenti di  bordo, riprese da migliaia di metri di altezza.

I tre pannelli centrali sulla parete di fondo illustrano una tavola rotonda attorno a cui siedono i popoli del mondo con pari dignità per appianare i contrasti attraverso il dialogo e per progettare la costruzione di un uomo nuovo. Sono rappresentati certo non tutti i popoli, ma almeno i rappresentanti di realtà emblematiche, note attraverso i media, o notevoli per il perdurare della loro esclusione dal consorzio umano: donne, del mondo arabo e del continente nero, doppiamente oppresse e sfruttate, tibetani, curdi, palestinesi, indios, pellerossa, lavoratori, gente comune, senza potere.

Sui fogli sparsi sul tavolo si intravedono scritte e progetti. Sul pannello centrale, fra le due metà della tavola rotonda, c'è l'immagine simbolica della fabbricazione di un uomo nuovo, un gigante multicolore, circondato dalle impalcature su cui si affaccendano operai. Ha il sole al posto della testa, allusione al rispetto della natura, alle energie naturali rinnovabili, alla gioia di vivere: è un sole fiammeggiante e sorridente. Uno sportello che si apre nel petto fa intravedere le rotelle dell'ingranaggio  della vita: una reca il simbolo della pace. Nella mano sollevata c'è una città colorata, una città di pace, come sottolinea l'arcobaleno che la sovrasta.

Sui pannelli d'angolo a destra compaiono dei grandi fiori, simbolo di un rispetto della natura senza limiti, una necessità urgente dei nostri tempi, come sottolineano i principi dell'agenda 21, gli accordi per la salvaguardia del mondo da sottrarre ad uno sfruttamento distruttivo e dissennato.

Altre immagini si susseguono negli altri pannelli. Una barca rappezzata su cui navigano su un mare pulito diversi popoli ha sulla vela un arcobaleno. L'arcobaleno è un antico simbolo di pace: compare nella Bibbia alla fine del diluvio universale come simbolo e testimonianza della rappacificazione del creato.

Nel pannello successivo un uomo ara la terra e una donna accudisce il figlioletto, sullo sfondo di un villaggio: il diritto di vivere in pace.

Nei due pannelli successivi c'è un girotondo di ragazzi su prati verdi, sullo sfondo di case colorate. Ballano calpestando gli strumenti di morte: missili, bombe, pistole, rottami di aerei e carri armati e mine antiuomo, quelle che continuano ad uccidere anche quando la guerra è finita.

Sugli ultimi due pannelli ad angolo si è rappresentato un grande, rotondo volto di donna dai capelli celesti, sulle cui onde si perde il girotondo dei ragazzi, ma altri due ragazzi lo stanno dipingendo impugnando dei grossi pennelli. È la volontà di costruirla, la pace, senza di che resterebbe un'utopia.

Nella sala della tavola rotonda, su uno dei fogli appesi al muro c'è il simbolo del Gridas, la nostra "firma"; anche questo è un accenno all'alternativa necessaria di scelta fra il sonno della ragione e la gioia di vivere.

Infine, sulla parete a un lato dell'ingresso, occupata da una scritta sciocca si è dipinto il mondo attraversato dai legami delle telecomunicazioni, internet, i computer, le antenne, e dei ragazzi che fruiscono di questa possibilità di connessioni mondiali. Un riassunto delle potenzialità delle tecnologie informatiche.

Qualcuno è già intervenuto con stupide aggiunte a penna o col gesso di particolari non necessari sulle figure dipinte, e le impronte delle scarpe sul muro, all'altezza dei ginocchi, lasciate dai ragazzi che bivaccano ai lati del bar sono in parte ricomparse, ma confidiamo che nella maggior parte i murales saranno rispattati e che il loro messaggio si stampi nella coscienza di tutti quelli che lo vedranno, non solo perché adesso ci sono dei muri più colorati, ma perché vale la pena decidere verso dove sta andando questo nostro mondo disastrato e dare una mano a correggerne la rotta.


Felice Pignataro